LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

martedì, gennaio 30, 2007

Neoavanguardia e manierismo: l'opinione di Stefano Zecchi

L'esigenza di un neofuturismo nasce dal sostanziale fallimento delle avanguardie del secondo Novecento. Qui si è detto più volte che a differenza delle avanguardie storiche dell'inizio del XX secolo, che nascevano da una precisa necessità di rinnovamento culturale, le neoavanguardie hanno portato avanti un rinnovamento delle forme vuoto e sterile.
Nel testo "L'artista armato" (1998) Stefano Zecchi si produce in un affondo convinto e condivisibile contro le avanguardie del Novecento. Tuttavia, anche Zecchi è convinto che il vero problema l'abbiano creato le neoavanguardie, riconoscendo invece l'importanza delle avanguardie storiche.
Leggiamo qualche passo di Zecchi.
"L'ideologia del nuovo, come categoria estetica, è dunque espressa nel fare artistico con lo sperimentalismo: puro gioco di rappresentazioni, di variazioni continue delle materie e delle forme senza una vera modificazione dei significati, senza che si producano valori antagonisti a ciò che già esiste".
"Oggi l'arte sperimentale non può che friggere e rifriggere cose passate: è l'arte più noiosa e manieristica che l'Occidente, nella sua storia millenaria, abbia mai visto".
E poi, in un'intervista del 20 ottobre 2004.
"In effetti con Cézanne si interrompe quell'equilibrio tra forma e capacità espressiva. Tuttavia, all'origine, gli sperimentalismi erano dotati di un alto potere estetico e comunicativo, che venne dissipato irrecuperabilmente dai manierismi degli epigoni. Non si può, d'altra parte, disconoscere il fatto che le premesse di un impoverimento della capacità semantica e comunicativa dell'opera artistica fossero presenti già dall'inizio".
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Perfetto. Fa piacere leggere uno studioso del calibro di Zecchi affermare quanto convintamente sostengo da un paio d'anni su questo blog. Mi sono più volte espresso contro lo sperimentalismo di maniera tipico delle neoavanguardie. Qualsiasi avanguardia deve nascere (proprio come il neofuturismo) da un'esigenza viva. Non deve essere un semplice gioco formale. Non si può mortificare l'arte e ridurla ad un giochino, o al massimo ad un'inutile costruzione intellettualistica.
Lo sperimentalismo e l'avanguardia hanno senso solo quando sono il frutto di un'esigenza vissuta nel profondo dall'artista. Quando diventa gioco e moda, lo sperimentalismo conduce inesorabilmente alla morte dell'arte.
Antonio S.

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giovedì, gennaio 25, 2007

L'arte: adorazione, comprensione, superamento

"Ogni uomo veramente sensibile di fronte al capolavoro passa per tre stati: adorazione, comprensione, superamento"
Carlo Carrà, Rievocazione del futurismo
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Di fronte a tanta lucidità non c'è bisogno di aggiungere molto. Sappiate tutti che davvero chi è grande passa attraverso queste tre fasi: prima nutre un'ammirazione sconfinata per le grandi opere d'arte, poi le analizza a fondo comprendendole pienamente, infine si rende conto che è necessario un superamento di quell'arte.
La capacità del futurismo fu appunto questa. Riuscire davvero ad aggiungere qualcosa di importantissimo all'arte precedente. E i risultati che i futuristi raggiunsero furono davvero enormi, solo quando furono il frutto di un reale superamento della migliore arte dei secoli precedenti. Potrei proporre di aggiungere un ulteriore passo iniziale al percorso di Carrà: comprensione, adorazione, comprensione, superamento. Credo infatti che anche l'iniziale adorazione nasca da una comprensione della grandezza dell'opera d'arte. Solo un ulteriore approfondimento potrà condurre in realtà all'esigenza di un superamento.
Tutti noi abbiamo quindi il compito di riprendere i capolavori del passato, glorificarli (giustamente), e poi superarli, dopo un'attenta analisi e una piena comprensione. Solo così potrà nascere l'opera d'arte del futuro. E questo sarà ovviamente il compito del Neofuturismo nei prossimi anni.
Antonio S.

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domenica, gennaio 21, 2007

Futurismo e Neofuturismo: distruggere e ricostruire

E' ormai abitudine quella di attribuire al futurismo l'unico merito di aver svecchiato la cultura italiana dell'inizio del Novecento.
In pochi (pochissimi!) hanno messo in evidenza, invece, che il futurismo fu anche un movimento che propose decine di nuove soluzioni in campo artistico (ma non solo), soluzioni destinate ad avere un'influenza notevolissima nella cultura, nel costume e nell'arte del Novecento.
"Siamo imprenditori di demolizioni, ma per ricostruire. Sgombriamo le macerie per poter andare più avanti".
Queste sono parole di Filippo Tommaso Marinetti, il quale aveva ben chiaro che il suo movimento non si sarebbe certo fermato alla pars destruens.
Basta leggere con attenzione il Manifesto di fondazione del futurismo (20 febbraio del 1909) per rendersi conto che tutti i punti sono propositivi e innovativi. Solo il punto 10 è riservato alla demolizione del passato ("Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica"). Poi, certo, esauriti gli undici punti programmatici, Marinetti si esalta scagliandosi contro i musei, le biblioteche e i professori, ma non dobbiamo dimenticare che 10 degli 11 punti del suo Manifesto sono riservati alle nuove idee e solo uno alla distruzione del passato.
Analogamente, il Neofuturismo deve provvedere ad abbattere il nichilismo, l'omologazione e la chiusura della società di questo nuovo millennio e allo stesso tempo proporre nuove modalità esistenziali, un nuovo approccio al Sè e alla realtà. La critica all'uomo-massa non è disgiunta dalla proposta dell'uomo rinnovato.
In fase di stesura di un manifesto generale continuo a credere che sia meglio proporre prima la pars destruens e poi la pars costruens. Forse è meno efficace a livello propagandistico, ma risulta senza dubbio più chiara sotto il punto di vista ideologico.
Vogliamo abbattere palazzi vecchi e pericolanti per costruirne di più belli e grandi.
Antonio S.

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lunedì, gennaio 15, 2007

Il futurismo a Firenze: l'epica serata al teatro Verdi

Uno degli episodi più noti del futurismo fiorentino fu indubbiamente la serata al teatro Verdi.
Sul palcoscenico c'erano Marinetti, Cangiullo, Boccioni, Carrà, Soffici, Papini, Tavolato e Scarpelli.
Il teatro è pieno.
Ecco come ricorda Alberto Viviani la serata:
"Dirò adesso una volta per tutte che non appena gli amici furono sul palcoscenico e la luce fu tutta accesa i clamori si trasformarono in un boato veramente bestiale e pauroso che non rallentò un istante la sua foga e la sua intensità. Qualche cosa insomma come i soffioni boraciferi di Larderello con accompagnamento di trombe e di piatti. Contemporaneamente dalla platea, dai palchi, dal loggione, incominciò un abbondante e ben diretto tiro di papate, carote, cipolle enormi, assa fetida, acciughe, uova mele, pastasciutta, lampadine elettriche, ceci ed altro ancora. A metà serata Marinetti venne colpito in un occhio da una patata che gli produsse una grossa e dolorosa ecchimosi. Cangiullo che aveva mantenuto sino allora la sua aria sorniona di placido napoletano ebbe invece uno scatto bellissimo: corse al limite della ribalta e con bella foga si dette a ributtare in platea i proeittili vegetali accompagnandoli con una filza di parole non certo lusinghiere e modeste, in pretto napoletano".
Ma ora ascoltate cosa disse Marinetti in quell'occasione.
"La vostra frenetica allegria mi dà piacere poichè segna un nuovo trionfo per il nostro movimento eroico. E certo che da più di cinquant'anni, non s'era mai vista tanta esuberanza di vita giovanile in questa vecchia fortezza del passatismo!"
E poco dopo:
"Noi siamo pochi domatori in una gabbia di belve ruggenti ma impaurite"
Ma l'espressione più bella la trovò quando rispose all'ennesimo lancio di proiettili:
"Siete seimila mediocrità contro otto artisti dei quali non potete negare il formidabile ingegno! Non ci farete indietreggiare neanche a revolverate!"
Ecco il vero spirito futurista perfettamente rappresentato da Marinetti. Il coraggio di fronteggiare la folla becera e passatista a viso aperto, sfidandola senza nulla temere.
Quale differenza se pensiamo ai nostri attori e uomini di teatro servi dell'applauso, vilmente compiacenti nei confronti del pubblico più sonnolento e decerebrato.
Ricordare Marinetti è oggi un dovere per chiunque voglia rinnovare il nostro paese.
Antonio S.

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mercoledì, gennaio 10, 2007

La dittatura dell'uomo-massa

Sono solito usare per descrivere l'uomo contemporaneo due termini che usò più di settant'anni fa il grande filosofo Ortega y Gasset: l'uomo-massa, l'uomo medio.
E' questo tipo di uomo che costituisce il cancro della nostra società. L'uomo che crede di sapere e invece non sa nulla. L'uomo che ripete scimmiescamente ideuzze e luoghi comuni sentiti qua e là dopo averli incamerati senza il minimo vaglio critico.
Questo è l'uomo-massa, questo è l'uomo medio.
Ci sono numerosi passi del saggio La rebelíon de las masas (1930) di Ortega y Gasset in cui viene descritto un tipo di uomo simile all'attuale. Leggendo questi passi non si può non stupirsi del fatto che Ortega già coglieva nella prima metà del secolo scorso quella tendenza alla massificazione del pensiero che oggi è una realtà diffusa in ogni zona del mondo.
"Non intendo dire che l'uomo-massa sia ignaro. Quello attuale, al contrario, è più reattivo, possiede maggiori capacità intellettive di qualunque altro nel passato. Ma queste capacità non gli servono a nulla; a rigore, la vaga sensazione di possederle gli permette di chiudersi maggiormente in se stesso e di non usarle. Una volta per sempre egli consacra l'assortimento di luoghi comuni, di pregiudizi, di parvenze d'idee, o semplicemente di vocaboli vacui che il caso ha ammucchiato nella sua coscienza e, con un'audacia spiegabile soltanto con l'ingenuità, cercherà di imporli ovunque. [...] Non che l'uomo volgare ritenga d'essere eccellente e non volgare, ma che proclami e imponga il diritto della volgarità, o la volgarità come un diritto".
"L'uomo medio possiede delle "idee", però manca della funzione di pensare".
Ecco il cuore del problema. L'uomo-massa, l'uomo medio(cre) non pensa autonomamente. Prende le idee in prestito affastellando tutti i pregiudizi e luoghi comuni più diffusi nella società e cerca a sua volta di imporli a tutti gli altri, comprese le minoranze pensanti.
A mio avviso questa rovina è storicamente dovuta alla diffusione dell'istruzione (di una pessima istruzione, si intende) in larghissime fasce della popolazione. La gente si è illusa di sapere, mentre non faceva altro che ripetere pappagallescamente le idee degli altri. Con il risultato che oggi, molto di più che all'epoca di Ortega, l'uomo-massa è il vero e indiscusso dittatore.
Il compito, arduo ma non impossibile, che spetta all'uomo esterno alle masse, all'uomo ancora pensante è quello di demassificare l'uomo medio. Bisognerà produrre nell'uomo-massa un distacco da questa modalità esistenziale e il ricongiungimento con il proprio sè, con la capacità di produrre e creare pensiero in modo autonomo.
La rivoluzione neofuturista parte da questi presupposti. Risvegliare l'uomo-massa sarà il suo compito. Con il pensiero, con l'azione, con l'arte.
Antonio S.

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sabato, gennaio 06, 2007

Edoardo Sanguineti e la lotta di classe: passatismo al quadrato

A volte mi chiedono "Ma un neofuturista cosa vuole combattere? chi è per il neofuturista il passatista del terzo millennio?"
Nella mia testa è chiarissimo chi e cosa è oggi passatista, l'ho spiegato più volte e d'altra parte basta leggere i miei manifesti. Ma spesso la gente non comprende quando si parla di idee e valori. Vuole i nomi, i fatti.
Ebbene, eccovi un nome e un fatto.
Il nome è quello di Edoardo Sanguineti.
Il fatto solo le sue dichiarazioni, recenti e passate.
Sanguineti, il materialismo storico e la lotta di classe.
Leggete cosa ha dichiarato recentemente il noto poeta, candidato a sindaco di Genova e sostenuto dalla sinistra radicale italiana.
"Restaurare l'odio di classe, perché i potenti odiano i proletari e l'odio deve essere ricambiato"
E' forse opportunismo politico in vista delle primarie che si terranno a febbraio? Forse. Ma leggete cosa dichiarava Sanguineti già in un’intervista rilasciata a "Telecittà" di Genova e riproposta in parte da «L'Unità» il 20/10/2003:
"Credo che la Sinistra che voglia proclamarsi Sinistra debba rivolgersi nuovamente al proletariato, e parlare chiaramente del fatto che viviamo in una Nazione in cui esiste - come in tutte le nazioni - una massa enorme di proletari che debbono riappropriarsi della coscienza di classe. Questo è il compito della Sinistra perché, piaccia o dispiaccia, dopo Marx ed Engels c'è solo una Sinistra, le altre sono Sinistre per modo di dire. C'è la Sinistra alla Blair, tanto per capirci. La sinistra di un guerrafondaio aperto, che ha falsificato documenti e copiato Internet, per legittimare le sue scelte. Mentre oggi purtroppo la coscienza di classe appartiene in esclusiva e da tempo ai borghesi, ai capitalisti. I quali tranquillamente sanno di essere borghesi e capitalisti e perciò difendono i valori dell'impresa, del profitto. Di contro, per la Sinistra non esistono più proletari, laddove il numero del proletariato effettivo è aumentato."
Ma andiamo avanti. Eccolo in un'altra recente intervista.
"Fino a un paio di decenni fa le distinzioni di classe erano molto evidenti, e per questo anche la coscienza di classe era più viva. Il proletariato sapeva di essere subordinato ai datori di lavoro, e al tempo stesso sapeva che la sua consapevolezza poteva servire in qualche modo da modello e da stimolo nei confronti di altre classi di lavoratori. Poi progressivamente, dopo le difficoltà del dopoguerra, il benessere sempre più diffuso ha fatto crescere i ceti medi, in cui la coscienza di classe è più attenuata. Ricordo a questo proposito ciò che risposi in quegli anni a un professore che mi confessava di non sapere a quale classe appartenesse. “Quando lei insegna e il suo lavoro è ricompensato - gli dissi - lei è un lavoratore dipendente e in un buona sostanza appartiene al proletariato. Se però possiede due o tre alloggi e li affitta, allora smette di essere proletario e diventa in qualche modo classe dominante”.
Questa della domanda del professore è l'apice della mediocrità passatista. Ve lo immaginate questo professore sconvolto da un dubbio di tale importanza esistenziale: non sapere a quale classe appartiene. Che profondità, che dilemmi! Ma per Sanguineti, convinto assertore del materialismo storico, per l'uomo è essenziale sapere a quale classe appartiene. Ragazzi, uomini, donne, ve lo siete mai chiesti a quale classe appartenete? Io mai. Di solito mi pongo domande un po' più importanti. Ma per Sanguineti la coscienza di classe è vitale.
Insomma, questo non è un esempio di passatismo. Questo è il trionfo del passatismo. Dal lessico alle idee, alle prospettive future.
E' incredibile come tutto quest'armamentario ideologico sia sopravvissuto al Novecento. E' vero che Sanguineti ha la sua età, ma lascia comunque stupiti l'incapacità di rinnovarsi da parte di un uomo che nel dopoguerra è stato un avanguardista convinto. Avanguardista in arte, conservatore e reazionario nel resto. Ma la parola giusta è passatista. Sanguineti è un passatista.
Insomma, i Neofuturisti parlano di dare un calcio all'omologazione socio-culturale del secondo Novecento e qui c'è ancora chi se ne esce fuori con teorie ottocentesche.
Sanguineti: un passatista al quadrato.
Antonio S.

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lunedì, gennaio 01, 2007

L'ha detto... Giovanni Papini



"Tutte le questioni - nazionali, sociali, morali - sono, in fondo, nient'altro che questioni d'anima, questioni spirituali. Mutando l'interno si muta l'esterno; rinnovando l'anima si rinnova il mondo".



Giovanni Papini, Un uomo finito (1913)

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