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mercoledì, maggio 30, 2012

L’arte (non solo contemporanea) è una truffa: Vittorio Sgarbi ha ragione ma anche torto


Domenica sera (27 maggio 2012) Vittorio Sgarbi è intervenuto a conclusione della IX rassegna di “Libri da scoprire”, fiera dell’editoria di Latina, per presentare il suo ultimo libro L’arte è contemporanea. Sgarbi è sicuramente un abilissimo oratore, parla con sicurezza e dosando abilmente gli artifici retorici. Non annoia di certo, quindi lo si ascolta con un certo interesse, anche se a tratti può infastidire il suo parlare costantemente ex cathedra. Quando però si passa all’analisi degli argomenti che propone, allora occorre fare dei distinguo. Sgarbi ha senza dubbio delle ragioni. Ma ha anche almeno un grande torto.
Il critico ferrarese comincia affermando che i bronzi di Riace sono “contemporanei” per il semplice fatto che esistono ancora oggi. Sono stati riscoperti da qualche decennio e da quel momento rivivono nella contemporaneità. Quindi sono contemporanei perché presenti in questo momento nel mondo. Nulla da dire in linea generale: non c’è dubbio che un’opera antica sopravvissuta fino ai nostri giorni, come sono i bronzi di Riace, per il solo fatto di poter essere ancora osservata risulta presente nelle nostre vite. Quindi, accettando anche la forzatura concettuale, possiamo affermare che quell’arte è “contemporanea”. Ora, a parte il fatto che la categoria “arte” così come noi la concepiamo oggi nell’antichità non esisteva neppure (e che quindi non ha senso prendere statue prodotte nel V secolo a.C. e associarvi i termini “arte” e “contemporanea”), resta da chiarire un altro punto fondamentale: in che modo sono a noi contemporanei quei bronzi? Certo, non allo stesso modo in cui è contemporaneo, ad esempio, un film di Tarantino. I bronzi di Riace possono ancora parlarci in due modi: posso dirci qualcosa del mondo che li ha prodotti 2500 anni fa, e posso dirci qualcosa dell’uomo in quanto uomo, che presenta caratteristiche che possono anche essere simili a distanza di così tanto tempo. Ma cosa non possono dirci quei bronzi? Non possono dirci nulla di preciso sull’uomo e sulla realtà di oggi, perché sono stati pensati in altro tempo, quando le condizioni storiche, sociali, politiche, economiche, tecniche, scientifiche erano profondamente differenti dalle nostre. Ecco perché dal mio punto di vista non è possibile dire che le statue bronzee di Riace sono “contemporanee” (metto tra virgolette il termine, perché è ovvio che qui Sgarbi ha iniziato a giocare con il significato di una parola, e ciò è legittimo, a patto di affermarlo subito e chiaramente). In seguito Sgarbi propone un discorso simile per Caravaggio, e in questo caso anche più pertinente, perché l’attenzione riservata oggi al pittore rende conto non di un casuale ritrovamento archeologico, ma di una rinnovata attenzione critica nei suoi confronti, e quindi di un fenomeno intenzionale dettato da una questione di sensibilità affine tra il Merisi e la realtà a noi contemporanea.
Fino a questo punto potrebbe sembrare poco chiaro l’obiettivo del critico. Sgarbi però continua il suo monologo, e questa seconda parte del suo discorso è decisamente più interessante. Due sono i bersagli del ferrarese: il primo è costituito dai critici d’arte che lo attaccano sostenendo di odiare l’arte contemporanea, ma che in realtà sono degli incompetenti incapaci di riconoscere il valore di un’opera (e cita tra questi Achille Bonito Oliva); il secondo bersaglio sono le opere d’arte contemporanea, prive di autentico valore e consistenti in vuoti e astrusi concettualismi. Per confermare queste due tesi Sgarbi (andando abilmente e furbescamente incontro all’umore del pubblico) tesse l’elogio del celebre episodio di Alberto Sordi Le Vacanze intelligenti (1978). Sgarbi accoglie in pieno l’ironia di Sordi e racconta l’episodio del concerto di musica contemporanea e della visita alla Biennale di Venezia, suscitando il riso di gran parte degli spettatori. La critica all’arte contemporanea è largamente condivisibile, poiché la quasi totalità dell’arte prodotta oggi è una truffa (o aspira a diventare una truffa). Ma a questo punto Sgarbi inserisce un nuovo argomento, la rivalutazione della pittura, rivelando che questo è il suo obiettivo ultimo. Accusa i critici d’arte contemporanea di aver estromesso la pittura dal sistema dell’arte, e di averlo messo in minoranza perché lui è uno dei pochi che apprezza ancora i pittori. Ecco che allora si comprende bene il discorso iniziale sulla contemporaneità: affermare che anche i bronzi di Riace sono contemporanei permette poi a Sgarbi di affermare che chi fa oggi pittura non è meno contemporaneo di chi fa installazioni multimediali. Ecco che allora la contemporaneità può essere costituita per Sgarbi sia dalla pittura sia dalle installazioni e proprio per questo il suo libro è stato concepito con una doppia copertina: a scegliere sarà chi acquisterà il volume. D’altra parte Sgarbi è un ottimo conoscitore in fatto di pittura, ma molto meno conosce le altre manifestazioni artistiche del Novecento.
Tutto il discorso di Sgarbi tiene fino a quando si limita alla denuncia della cricca dei curatori e critici che sponsorizzano artisti mediocri creando fenomeni modaioli di scarsissimo valore. Ma quando come antidoto a questi cialtroni (pure ignoranti, ha pienamente ragione) si propone un ritorno alla pittura, ebbene questo è il vero punto debole della sua operazione critica. Gli artisti pseudo-concettuali-didascalici creati dal ben noto sistema dell’arte (la roba ignorante e truffaldina alla Koons, Cattelan, Hirst, ma anche tutto il sottobosco decorativo e inconsistente di video-art, performance-art e simili) non meritano neppure di essere presi in considerazione. Ma, anche se più onesto e meno ignorante, è improponibile anche il ritorno alla bella pittura avanzato da Sgarbi. Ed è improponibile proprio perché, come abbiamo sempre detto, il presentismo modaiolo non può essere sconfitto da un ritorno al passatismo. Si può senza dubbio continuare a dipingere ancora oggi, nel 2012. Ma la pittura non è il mezzo più adeguato per descrivere e comprendere la realtà contemporanea. Certo, se si vuole esprimere un rifiuto completo della realtà presente e un ritorno all’antico possiamo utilizzare la pittura, ma se si ha intenzione di entrare in contatto con la sensibilità contemporanea ci sono modalità indubbiamente più efficaci, da rintracciarsi in continue azioni performative oltre-artistiche, sabotanti, disorientanti, al di fuori dei tradizionali generi, dei contesti museali, al di fuori del sistema artistico. Per sconfiggere il presentismo (utilitaristico affaristico modaiolo) occorre un’ulteriore fase d’avanguardia, non un ritorno all’ordine passatista. Sgarbi nel suo discorso cita correttamente la Fontana di Duchamp, ma non altrettanto correttamente comprende che l’esito ultimo della pratica del ready-made è lo smascheramento dell’inconsistenza della categoria dell’arte. Dopo gli sputi di Marinetti all’Altare dell’Arte e dopo i ready-made di Duchamp, la categoria dell’Arte non può che crollare definitivamente. L’esito non può essere quello di dichiarare che qualsiasi cosa entri in un museo sia arte (esito che giustamente Sgarbi denuncia come grottesco), ma non è neppure quello di far finta che Duchamp non abbia smascherato la funzione sacra dell’arte (e del museo). L’esito finale è comprendere che nulla è arte, che l’arte non esiste se non quando si crea artificiosamente, utilitaristicamente e meschinamente la categoria “arte”.
Per superare le truffe dell’arte contemporanea abbiamo oggi bisogno solo di quella che chiamiamo “oltre-arte”, occorre dichiarare che l’arte tutta è una truffa, che non abbiamo più bisogno di un mondo in cui ci siano artisti e non artisti, ma di un mondo in cui ci siano semplicemente persone con determinate doti più o meno sviluppate. La differenza tra gli individui non è relativa alla loro natura di artisti o non artisti, e quindi alla loro capacità e volontà di entrare in quei canali che legittimano questa natura di “uomini speciali”. La differenza sta solo nel livello raggiunto da ciascuno in differenti campi espressivi: possiamo essere più o meno abili nel disegno, nella scrittura, nella composizione musicale, nell’oratoria, etc. E allora, perché utilizzare ancora la categoria “arte”? Forse per creare un’isola romanticamente felice e lontana dalla corruzione e dall’utilitarismo del mondo? Ciò sarebbe anche comprensibile in linea generale, ma quando questa isola diventa altrettanto corrotta dall’utilitarismo ha senso ancora che esista? E poi, perché creare un’isola? Non hanno tutti gli individui bisogno di allontanarsi dalla vile meschinità quotidiana? Una volta eliminata l’inutile categoria dell’Arte non ci sarà più nessuno che proverà la truffa con il fine di essere inserito in questa élite dell’umanità che gode del privilegio di veder pagate idee anche banalissime con cifre ultramilionarie.
Insomma, qui non è in ballo, come crede Sgarbi, la truffa dell’Arte Contemporanea. Qui è in ballo la truffa dell’Arte. E basta.
Antonio Saccoccio

Sgarbi di fronte allo stand di "Avanguardia 21 Edizioni" riceve la  T-shirt del  MAV "L'arte è una truffa"



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