LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

giovedì, luglio 28, 2005

L'ha detto.... L. Anneo Seneca

Ancora una citazione tratta dall'opera di un grande maestro che ci invita a considerare la forza dell'animo.

---

Contemnite omnia quae supervacuus labor velut ornamentum ac decus ponit; cogitate nihil praeter animum esse mirabile, cui magno nihil magnum est.
Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, I, 8


Disprezzate tutto ciò che una fatica superflua pone come ornamento e splendore; pensate che nulla è ammirevole all'infuori dell'animo, per il quale, quando è grande, nulla c'è di grande.
(trad. Antonio Saccoccio)

domenica, luglio 24, 2005

Materialismo, civiltà dell'immagine e Neo-umanesimo.

Vittime del materialismo e della vuota "civiltà dell'immagine", dobbiamo convincerci sempre più che c'è bisogno di un Neo-Umanesimo. L'uomo deve tornare a guardarsi dentro.
Ormai guardiamo solo ai beni materiali e soprattutto a ciò che siamo (anzi sembriano) esteriormente. Stiamo diventando delle cortecce imbalsamate, dei manichini incerati. Finti. Finti, perchè troppo poco umani.
L'estetica è ormai degenerata in estetismo. Infatti, come sosteneva Kierkegaard, non ci può essere vera bellezza se all'estetica non si accompagna l'etica. E noi non abbiamo più etica per sostenere una corretta visione della bellezza. E chiamiamo ormai bello ciò che non lo è assolutamente. Come può essere bella una donna che ha subito tre interventi di chirurgia estetica e ora ha le labbra gonfie che quasi toccano il naso, il seno che sta per scoppiare, e le cosce "liposolute"? Eppure qualcuno la considera bella. Per me ovviamente è patetica, ridicola. Pirandello avrebbe detto che provoca "umorismo". Non certo bellezza quindi.
Per questo motivo occorre tornare a riflettere, tornare a pensare, a guardarci dentro. Ogni sera bisogna fermarsi a pensare su quello che è stato il giorno che sta per concludersi. Ogni sera bisogna tornare a chiedersi come ci si possa migliorare, e come si possano eliminare gli errori compiuti in precedenza. Bisogna scoprirsi giorno per giorno. In questo modo riscopriremo anche cos'è la vera bellezza, che non è mai disgiunta dalle altre doti umane.
Per far questo non so se possano bastare questi generici inviti e simili argomentazioni filosofiche. Forse è parimenti importante un'azione più energica. Per combattere la degenerazione dell'uomo contemporaneo, occorre combattere le mode decandenti proposte dai mass-media (soprattutto giornali, radio, tv). Bisogna limitare drasticamente la cura fanatica (e ridicola) del corpo. Chi scrive è decisamente contrario all'uso smodato del trucco per camuffare l'aspetto fisico. Decisamente contrario alla cosiddetta chirurgia estetica (sempre molto poco estetica), tranne i casi in cui sia riparativa. Bisogna persino cercare di guardarsi il meno possibile allo specchio (intanto non si diventa più belli guardandosi di più!). Inoltre bisogna tornare a privilegiare la scrittura all'immagine. Stop alle riviste interamente composte da immagini, che ci rendono tutti più cretini. Sì ai blog, ovviamente, vera risorsa umana.
La sera, dopo cena, non accendiamo la televisione e riscopriamo il piacere di pensare. Non lasciamo imporci da quello schermo le cose a cui pensare. Scegliamole noi!
Il Neo-Umanesimo, che propongo con forza in questo blog, ha individuato la battaglia che occorre condurre nei prossimi anni: lo spirito contro la materia, la riscoperta dell'interiorità contro la società del mostrarsi, dell'apparire, del vuoto estetismo.
Vi lascio con una superba affermazione, ancora di Kierkegaard.
"E' una superstizione credere che sia qualcosa che viene dal di fuori ciò che può render felice un uomo"
vi saluto
Antonio Saccoccio

venerdì, luglio 22, 2005

L'ha detto... Soren Kierkegaard

Ecco, qui hai il mio modesto parere intorno a quello che sia lo scegliere ed il pentirsi. Non si conviene amare una fanciulla come se fosse la propria madre, e la propria madre come fosse una fanciulla; ogni amore ha la sua particolarità. L'amore per Dio ha la sua assoluta particolarità e la sua espressione è il pentimento. E, cosa è mai ogni altro amore a paragone di questo? Solo un balbettìo infantile. Non sono un giovane eccitato che cerchi di raccomandare le sue teorie, sono un marito e certo non tremo se mia moglie mi sente dire che ogni amore a paragone col pentimento è solo un balbettìo; eppure so di essere un buon marito, "io che come marito ancora lotto sotto le vittoriose bandiere del primo amore". So che essa condivide la mia convinzione, e per questo l'amo ancor di più; e perciò non vorrei essere amato da quella tale fanciulla, perchè essa non condivide la mia convinzione.

Soren Kierkegaard, Aut-Aut

venerdì, luglio 15, 2005

Papini e la scuola: per un'educazione libera.

In vista della pubblicazione sul mio blog del Manifesto della scuola Neo-futurista, vi propongo un testo chiave molto suggestivo da cui bisogna partire per comprendere i difetti che può sviluppare un sistema educativo mal gestito e autoriferito come spesso è ancora il sistema scolastico italiano. In grassetto sono evidenziati i punti che reputo maggiormente significativi per il Manifesto che sto approntando. Premetto che, ovviamente, la scuola è nel frattempo molto cambiata e in qualche caso anche molto migliorata. Ma molto rimane ancora da fare, perchè i ragazzi spesso vivono ancora la scuola come un carcere che mortifica le loro aspirazioni, la loro libertà. In tutto il testo ho evidenziato in rosso quest'ultima parola, per dare l'idea di quanto per Papini sia importante la libertà nella crescita di un ragazzo. Le parti non evidenziate non sono da me condivise pienamente e sono addirittura da contestare. Il proposito stesso di chiudere le scuole non rappresenta la soluzione al problema. Bisogna riformare le scuole, non eliminarle. Papini vuole eliminare le scuole per dare maggiore gioia e maggiore libertà ai ragazzi. E chi può dire che a scuola non può esserci libertà e gioia? Secondo me questo è possibile. E nel prossimo Manifesto sosterrò proprio questa idea. Basterà una vera riforma, una riforma sostanziale, non di facciata come quelle proposte negli ultimi anni.

Sono, come al solito, benvenuti commenti, domande, critiche.

Giovanni Papini

"Chiudiamo le scuole"

1 giugno 1914


Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto - contro la morte - contro lo straniero - contro il disordine - contro la solitudine - contro tutto ciò che impaurisce l'uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.

Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi - in città e in campagna e sulle rive del mare - davanti a' quali non si passa senza terrore.

Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all'immobilità, all'abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po' di ricchezza a' fratelli più ricchi o diminuirono d'improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m'intenerisco sopra questi uomini ma soffro se penso troppo alla loro vita - e alla qualità e al diritto de' loro giudici e carcerieri. Ma per costoro c'è almeno la ragione della difesa contro la possibilità di ritorni offensivi verso qualcun di noialtri.

Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potete chiamarli - con morali e codici in mano - delinquenti ma quest'altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall'utero delle vostre spose e figliuole. Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?

Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito, l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v'insegnavano.

Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.

Soltanto per caso e per semplice coincidenza - raccoglie tanta di quella gente! - la scuola può essere il laboratorio di nuove verità.

Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.

Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi.

Quali?

Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera".

Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più, tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità. Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.

Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.

Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e pareggiate case di pena.

Nessuno - fuorché a discorsi - pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli.

Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non ci pensiamo più.

L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà.

Libertà per rafforzare il corpo e conservarsi la salute, libertà all'aria aperta: nelle scuole si rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha inventate!).

Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi.

Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme ch'è l'insegnamento.

Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati - l'immobilità fisica più antinaturale - l'immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare - lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili - e l'annegamento sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a sei anni l'uomo è prigioniero di genitori, bambinaie e istitutrici; dai sei ai ventiquattro è sottoposto a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell'ufficio, del caposezione, del pubblico e della moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d'ogni padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.

Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia!

L'unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c'è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.

Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene - e non tutti ci arrivano.

Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.

Insegna (pretende d'insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.

Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d'ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.

Non si può insegnare a più d'uno. Non s'impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due, dove colui che insegna si adatta alla natura dell'altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non detta il suo verbo dall'alto.

Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o ne sono scappati presto o sono stati "cattivi" scolari. (I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere una certa fama sono stati spesso i "primi" della classe).

La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s'è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo.

Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il saggio di Hazlitt sull'Ignoranza delle persone istruite, che comincia così: "La razza di gente che ha meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né scrivere che saper leggere e scrivere, e non essere capaci d'altro".

E più giù: "Chiunque è passato per tutti i gradi regolari d'una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d'averla scappata bella".

Credo che pochissimi potrebbero - se sapessero giudicarsi da sé - vantarsi di una tal resistenza. E basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de' nostri impiegati, dirigenti, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c'è ancora un po' d'intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra gli analfabeti.

La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di quel che fossero al principio - e non è dir poco.

Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi!

Si parla dell'educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari è questa: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni e compagni.

L'unico testo di sincerità nelle scuole è la parete delle latrine.

Bisogna chiuder le scuole - tutte le scuole. Dalla prima all'ultima. Asili e giardini d'infanzia; collegi e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e accademie; scuole di commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d'applicazione; politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d'insegnare ad altri uomini bisogna chiuder bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disoccupati né ai librai in fallimento. Tutto s'accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni governative.

Ci saranno più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più salute e più gioia.

L'anima umana innanzi tutto. È la cosa più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti, presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro fabbriche privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli.

Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l'imbecillità e per la morte.

Antonio Saccoccio

domenica, luglio 10, 2005

Terrorismo. Ratzinger come fra Cristoforo: è questa la via?

Vorrei sottoporre alla vostra attenzione un'analogia tra due situazioni apparentemente così diverse e lontane.
Oggi papa Ratzinger, affacciato alla finestra del suo studio apostolico in Piazza San Pietro, ha espresso un breve ma -come al solito- denso pensiero riguardante gli attentati di Londra di tre giorni fa. Ha detto innanzitutto: “Fermatevi, in nome di Dio”, aggiungendo poi: “'proviamo tutti un profondo dolore per gli atroci attentati terroristici di Londra di giovedi' scorso”. Maggiormente interessanti sono state le parole seguenti, quando ha invitato i fedeli a pregare per “le persone uccise, per quelle ferite e per i loro cari. Ma preghiamo anche per gli attentatori: il Signore tocchi i loro cuori. A quanti fomentano sentimenti di odio e a quanti compiono azioni terroristiche tanto ripugnanti dico: Dio ama la vita, che ha creato, non la morte”.
Il nobilissimo pensiero del papa mi ha subito ricordato un celeberrimo passo dei Promessi Sposi. Nel corso del capitolo VIII del romanzo, infatti, padre Cristoforo pronuncia parole simili nei confronti del violento di turno, don Rodrigo. Don Rodrigo usa anche lui la strategia del terrore (e "terrore" è, già dal primo capitolo, una delle parole-chiave per comprendere il clima del romanzo), in maniera non dissimile dai moderni terroristi. Incute timore sguinzagliando ovunque i suoi bravi e cerca di paralizzare la vita del resto della popolazione (proprio come Al Qaeda cerca oggi di paralizzare le nostre vite).
Ma ecco come si esprime il frate, parlando a Renzo e Lucia.
“Prima che partiate, - disse il padre, - preghiamo tutti insieme il Signore, perché sia con voi, in codesto viaggio, e sempre; e sopra tutto vi dia forza, vi dia amore di volere ciò ch'Egli ha voluto.” Così dicendo s'inginocchiò nel mezzo della chiesa; e tutti fecer lo stesso. Dopo ch'ebbero pregato, alcuni momenti, in silenzio, il padre, con voce sommessa, ma distinta, articolò queste parole: “noi vi preghiamo ancora per quel poveretto che ci ha condotti a questo passo. Noi saremmo indegni della vostra misericordia, se non ve la chiedessimo di cuore per lui; ne ha tanto bisogno! Noi, nella nostra tribolazione, abbiamo questo conforto, che siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo offrirvi i nostri guai; e diventano un guadagno. Ma lui!... è vostro nemico. Oh disgraziato! compete con Voi! Abbiate pietà di lui, o Signore, toccategli il cuore, rendetelo vostro amico, concedetegli tutti i beni che noi possiamo desiderare a noi stessi.”
Come si vede, sono parole simili a quelle che ha usato oggi papa Ratzinger, il pensiero è lo stesso.
Tutti conosciamo la potenza spirituale di padre Cristoforo e di Manzoni. Ora cerchiamo di tornare ai nostri tempi e ragioniamo un attimo su due punti.
1. E’ ovviamente apprezzabilissimo il pensiero del papa di rivolgersi agli attentatori sperando in un loro ravvedimento. E speriamo che in futuro ci siano anche maggiori segni di apertura.
2. Ma il padre Cristoforo, anche se prega e invita a pregare affinchè il Signore tocchi il cuore del violento don Rodrigo, non smette mai di lottare personalmente per ottenere giustizia. Il frate prega ma nello stesso tempo agisce. E agisce difendendo gli oppressi. Prova la carta del dialogo, si reca da don Rodrigo e lo affronta con umiltà ed energia; quindi, resosi conto che ormai quell’uomo è abbandonato da Dio, interrompe quel dialogo improduttivo, ma non smette comunque di lottare per difendere gli oppressi. E sappiamo che, alla fine, il suo Cristianesimo militante avrà successo. Ora analizziamo la situazione presente. Sicuramente il ruolo che ricopre oggi Ratzinger non gli permette di sbilanciarsi molto in questo senso e le carte che può giocare sono sempre limitate da una certa diplomazia. Un Cristianesimo militante, in questo contesto, sarebbe subito frainteso e scambiato per guerra di religione. E il papa, quindi, fa bene a non sbilanciarsi e a limitarsi alle proposte di dialogo. Ma a questo punto dobbiamo convenire almeno su una cosa: al di là delle parole del papa, che ovviamente più di tanto non può dire e fare, noi tutti abbiamo il dovere di difendere gli oppressi. Dobbiamo noi tutti trasformarci in tanti padre Cristoforo e lottare e difendere i deboli dagli attacchi dei violenti. Questo dovrebbe essere il pensiero di chiunque, cattolico o no, creda ancora in qualcosa. La strategia del terrore deve essere combattuta energicamente, proprio come fra Cristoforo ha affrontato don Rodrigo.
Antonio Saccoccio

Etichette: , , ,

lunedì, luglio 04, 2005

L'uomo futurista non è lontano

L’altra sera ero a cena con alcuni colleghi e amici. A metà serata uno di loro mi ha detto più o meno le seguenti parole: “Sai perché mi piace parlare con te? Perché hai una grande dinamicità (o forse ha detto dinamismo! ma poco importa). Si vede che hai sempre idee nuove e che le hai prodotte tu”. Difficilmente un complimento è stato da me più gradito. Con quel collega amico non ho mai ancora parlato del mio Neo-futurismo e del dinamismo che sta alla base del mio pensiero. Eppure si vede che deve aver percepito in me il movimento e la produzione continua di idee. E questo mi dà enormemente fiducia. L’uomo futurista è riconoscibile ed è apprezzato. L’uomo futurista è sempre più vicino. Crediamoci tutti un po’ di più! Si può davvero cambiare questo mondo statico e impantanato!
Movimento, creazione, miglioramento, evoluzione.
Antonio Saccoccio