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sabato, marzo 28, 2015

Cacciari risponde a Poletti sulle vacanze scolastiche: ma non basta

L'ultrapassatista ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha dichiarato che occorre ridurre le vacanze estive dei ragazzi (tre mesi sono troppi!) sostituendole con percorsi formativi e lavorativi. 
Ennesima penosa affermazione della paralisi socio-culturale italiana, europea e mondiale.
Il ministro Poletti, con la sua demonizzazione delle “vacanze”, unita alla glorificazione della “formazione” e del “lavoro”, esibisce la grottesca decadente rappresentazione del pensiero totale che ha condotto il mondo occidentale nell’attuale profondissima crisi, non economica, ma culturale, sociale, morale e intellettuale. Ciò che disturba maggiormente è l’incapacità della cecità dei politici di professione di fronte alle opportunità offerte dalla tecnoscienza
Ci ha pensato, in parte, Massimo Cacciari, intervistato dal “Fatto Quotidiano”, a ridicolizzare le affermazioni di Poletti. In realtà le prime affermazioni del filosofo sono state piuttosto vaghe e non hanno colto affatto il bersaglio. Di ben altro tenore la seconda parte dell’intervista, in cui ha finalmente toccato due temi fondamentali. Innanzitutto viene smontato l’assioma per cui le “vacanze” siano da considerarsi tempo perso per la formazione. Afferma Cacciari, con la sicurezza di chi sa di non poter essere smentito: “Le vacanze mi hanno formato diecimila volte più di due anni scolastici”. È davvero uno spettacolo penoso ascoltare ministri che ancora credono all’idea gretta e reazionaria di una scuola che forma e costruisce e di una vacanza che distrugge. Solo aumentando il tempo non alienato è possibile aumentare le nostre libere conoscenze.
L’altro affondo di Cacciari è contro “l’idea trogloditica che la produttività si misuri sul tempo di lavoro”. E poi precisa con puntualità: “In un’epoca in cui, grazie allo sviluppo tecnologico, il 90 per cento del lavoro potrebbe essere svolto utilmente da casa, questi arcaici predicatori vanno in giro a dire che bisogna stare più tempo a scuola o in ufficio. Come se studiare o lavorare un mese in più facesse la differenza. Un ragionamento talmente comico che non ci si crede. Sembra che siano fermi a prima dell’invenzione del telefono, questi signori”.
In realtà questi signori sono fermi a prima dell’invenzione del telegrafo. Non si sono resi conto che il modello sociale emergente non è e non può più essere quello della scuola dell’obbligo e del lavoro alienato. Non ci vuole di certo Cacciari per prendere atto che tutto quello che si apprende in due anni scolastici potrebbe essere appreso decisamente meglio in un mese liberamente impiegato nell’approfondimento (magari cooperativo) dei propri interessi, e senza marchiare questo mese con l’istituzionale parola “formazione”. E non ci vuole Cacciari per comprendere che l’automazione ci ha liberato da gran parte del lavoro e che il tempo libero andrebbe accolto con gioia e non trasformato nella tristezza della disoccupazione (Illich resta ancora un punto di riferimento). Cacciari non porta però alle ultime conseguenze il suo discorso, non arriva a dire che i politici come Poletti non dovrebbero avere come obiettivo quello di privare i giovani degli unici tre mesi di libertà, ma dovrebbero pensare a estendere quella libertà anche agli adulti, soffocati, divorati e demoliti dall’ansia produttiva. Fino a quando avremo politici che vogliono traghettarci nel XXI secolo con la loro mente rivolta all’Ottocento, saremo costretti alla paralisi culturale e sociale. È ora che almeno una parte dei politici si renda conto che per affrontare la crisi non abbiamo bisogno di respirare meno e studiare/lavorare di più, ma necessitiamo esattamente della cura opposta. Più aria e vacanze per tutti.

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