LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

giovedì, settembre 27, 2007

Neofuturismo = antiutilitarismo militante

Una delle domande che sempre più spesso vengono poste ai neofuturisti è "Ma perchè vi dedicate tanto al neofuturismo? Cosa ve ne viene in tasca?". Resto sconcertato ogni volta di fronte a simili domande. L'utilitarismo è diventato una piaga, un cancro osceno nella nostra società occidentale. Tutto deve portare dei frutti immediati, tutto deve essere monetizzato immediatamente. Cosa ci guadagno? Che vantaggi ne traggo? Ricchezza? potere? fama?
Così la miscela utilitarismo+materialismo ci ha mozzato le ali. Perchè mi dedico al neofuturismo? Perchè altri con me condividono questo progetto visionario? Perchè ho dentro, abbiamo dentro, un mondo che è migliore di quello che vediamo. E sappiamo che si può migliorare. Sappiamo che possiamo con la nostra azione incidere positivamente su questo mondo.
Non ci pagano per questo. E se un giorno ci pagheranno investiremo quei soldi per finanziare il movimento e le nostre idee (proprio come fece per tutta la vita il nostro caro F. T. Marinetti).
Non siamo famosi. E se lo diventeremo ce ne fregheremo.
La nostra battaglia contro le becere meschine imbecilli concezioni utilitaristiche oggi tanto in voga sarà condotta senza sosta e senza mezze misure.
Forse i poveri di spirito che non comprendono simili slanci ideali farebbero bene a rileggere queste righe che riporto qui sotto, una breve pagina tratta da Fahrenheit 451, inarrivabile visionario straripante romanzo di Ray Bradbury, uno dei grandi autori che hanno preceduto le critiche alla società poste dal nostro neofuturismo. Sul romanzo tornerò nei prossimi mesi. Ora leggete queste poche righe, tratte dall'ultima parte del testo, in cui si leva una voce di speranza da opporre al mondo chiuso, spento e opprimente precedentemente descritto:
"Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato col nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato, in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l’albero, o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti poi la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere, sta nel tocco, diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, sul quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita".
Il Neofuturismo sa che un cambiamento è possibile e necessario. Il Neofuturismo vuole lasciare il segno. Vuole lasciare la sua impronta nella storia dell'umanità. E in parte la sta già lasciando. Cosa potremmo chiedere di più?
Nulla.
Antonio Saccoccio

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giovedì, settembre 20, 2007

L'arte nell'epoca della sua digitalizzazione: dalla contemplazione alla comunicazione

Il pensiero netfuturista si configura come una sintesi delle migliori intuizioni sviluppate negli ultimi decenni. Questo è riscontrabile soprattutto in campo estetico (se ancora questa parola si può usare). Il netfuturismo si pone come estremo sviluppo di una linea che parte dalle geniali intuizioni di F. T. Marinetti e si sviluppa con il pensiero di Marshall McLuhan, poi raccolto da Pierre Levy, Derrick de Kerckhove, Manuel Castells e altri. Dalle migliori riflessioni di questi autori emergono a mio avviso due punti fermi:
  1. l’importanza che hanno i media per lo sviluppo dell’arte
  2. il processo di democratizzazione dell’arte in atto

Questi sono due punti fondamentali per l’approccio netfuturista al problema estetico. La stretta relazione esistente tra medium e messaggio conduce oggi a sperimentare una consapevolezza artistica totalmente nuova. Grazie ad internet le possibilità che tutti hanno oggi di comunicare, agire e interagire portano ad una ridefinizione del ruolo dell’arte stessa. Non più stasi e contemplazione, ma azione e processo continuo. In realtà all’Arte per pochi eletti (che continua a resistere anche sul web in penose riproposizioni virtuali delle antiche gallerie) si sta sostituendo una creatività e un’azione sempre più diffusa. Alla Rappresentazione-Contemplazione si sta sostituendo la ComunicAzione. D'altra parte questo è in linea con quanto affermavano già nel decennio scorso Natalie Bookchin e Alexei Shulgin nella loro Introduzione alla net.art (Privileging communication over representation).

Il Netfuturismo è l’estrema conseguenza di questo sviluppo. Portare la ComunicAzione e la CreAzione alla più larga diffusione possibile nel web. Ridisegnare il mondo con la partecipazione di un sforzo creativo collettivo. Quello dei nuovi cittadini-creatori della democrazia digitale.

Concludo citando alcune parole di Levy. Sono parole paralizzanti. Paralizzanti per la sua devastante brillantezza.

"Ora, l'arte dell'implicazione non costituisce più nessuna opera, nemmeno aperta o indefinita: fa emergere processi, vuole aprire uno sbocco a vite autonome, immette nella crescita e nell'abitazione di un mondo. Ci inserisce in un ciclo creativo, in un ambiente vivente di cui siamo sempre già coautori. Work in progress? Sposta l'accento dal work al progress. Si ricondurranno le sue manifestazioni a momenti, luoghi, dinamiche collettive, non più a persone. E' un'arte senza firma".

Antonio Saccoccio

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martedì, settembre 18, 2007

L'arma che crea e non uccide

"Velocemente come sapevi tu cancellare le distanze terrestri da nord a sud da Continente a Continente sei passato oltre il fronte della vita. Lottando per l'Italia con la tua arma che crea e non uccide e la sapevi mirabilmente usare"

Benedetta Cappa, ricordando il marito Filippo Tommaso Marinetti

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venerdì, settembre 14, 2007

Contro l'ossessione dell'accademia, della critica e dell'erudizione

Umberto Boccioni (1882-1916) è indubbiamente l'artista futurista che gode e ha goduto dei maggiori consensi critici. Non è il caso qui di mettere in discussione questo "primato critico", ma giova ricordare che senz'altro sul suo conto la critica fu generalmente più bonaria di quanto non fu con F. T. Marinetti. Forse a Boccioni giovò paradossalmente il fatto di essere morto prima dell'avvento del fascismo. Ma Boccioni fu sempre uno dei più accesi sostenitori del futurismo. A tratti fu su posizioni più estremiste persino dello stesso Marinetti.

Prendiamo il saggio “Pittura scultura futuriste” (1914) , in 17 capitoli. I primi 5 capitoli sono dedicati all'analisi e alla critica della situazione culturale italiana, i restanti si occupano di questioni artistiche dal punto di vista tecnico-formale.

Il capitolo 5, intitolato significativamente Contro l'ossessione della cultura e contro il monumento nazionale, è davvero fondamentale se si vuole comprendere cosa intendeva il futurismo per passatismo. Leggiamone i passi più interessanti.

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"Non v'è idiota (tipo colto) che non si creda qualche cosa d'importante quando ha un nuovo libro sul tavolo o una rivista sotto il braccio. Tutta la balordaggine tedesca o meglio il lato peggiore del carattere germanico hanno offuscata la nostra serena e gaia genialità italiana! La critica, la critica della critica, il saggio critico sulla critica della critica e la monografia sono la più grande aspirazione dell'intelletto italico. Il professore (non quello della scuola che è il più maltrattato) ma il professore di qualche cosa, il professore in sè, è divenuto un idolo, e la cultura, l'alta cultura, come si dice, è una stalla dove i gelidi castrati d'Italia si sdraiano con sussiego sul letame della loro erudizione. Presto avremo anche noi come in Germania i giovani che portano gli occhiali solo per darsi del tono, per avvicinarsi al tipo studioso. [...]

L'artista italiano avido e ignorante subisce oggi due miserabili imperativi: l'uomo di cultura, rimpinzato di carta stampata, e l'arricchito di fresco: l'amatore, vuoto di tutto... L'uno pontifica, l'altro corrompe. Tra i due come una spola perennemente affannata, corre il giornalista-critico, che non ha di solito né cultura né denaro, che può essere pieno di buona volontà, ma che, ignorante fino al grottesco, sbaglia sempre e subisce quindi l'influenza di tutti e due. [...]


Se l'idolatria del libro, dell'analisi, della statistica, della critica, se l'ossessione della conferenza, del concerto, dell'audizione wagneriana, debussyana, straussiana, se la frenesia dell'artistico e dell'erudito segnano nella gioventù europea una miseria fisica, un afflosciamento del temperamento, un rammollimento vergognoso di ogni impeto eroico ed aggressivo, in Italia questa piaga assume un carattere specialissimo. [...]

In maggioranza le persone colte (mi occupo di queste perchè purtroppo la massa in Italia vegeta tra il litro, il giuoco delle bocce e la femmina, tanto nelle città come nelle campagne) rimpiangono le quiete letture, i colloqui e gli epistolari accademici, le ombre dei grandi trapassati, l'orticello, le campane, il chiù-chiù dei passerotti, le discussioni interminabili e a vuoto nel piccolo caffè di provincia o lungo le viuzze deserte della vecchia Italia. Quando poi sognano l'azione... per gli altri, brandiscono impettite la vuota rettorica dell'impero di Roma e quei vecchi famosi fantocci sgonfiati che si chiamano Dante, Petrarca, Michelangelo... La conquista della Libia non è stata fatta passo passo con esempi di Roma, di Venezia, di Lepanto? Non paragonò D'Annunzio i nostri forti alpini friulani agli arcieri della Repubblica Genovese? Non si sostiene quasi tutto nella nostra Italia su luoghi comuni, su frasi fatte, su fame scroccate?...
Oh! che nausea questo miserando spettacolo intellettuale e civile! E' da tutto questo che deriva quella atmosfera di perpetuo rimpianto e di scetticismo che ci opprime e ci soffoca!
Chi non trova per pigrizia, o viltà, o incompetenza la propria soddisfazione nelle moderne manifestazioni artistiche, non sa far di meglio che guardare alle proprie spalle e rimpiangere il genio unico, il piccolo eccelso e solitario intorno al quale è deserto, e sospirare e sognare su Fidia... su Michelangelo... su Tiziano..."
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L'ossessione dell'accademia, dello spirito professorale e pedante, della conferenza, del concerto, dell'erudizione fine a se stessa. Questi furono i nemici del futurismo. Questi sono oggi i nemici del neofuturismo. Ma in generale questi sono i nemici di ogni visione culturale davvero viva e produttiva. Gli studiosi che si compiacciono di essere tali e che ripetono all'infinito ciò che hanno studiato senza produrre nuovo pensiero non possono essere interessanti per una cultura neofuturista. Ci vuole creazione, non eterna ripetizione.
Antonio Saccoccio

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domenica, settembre 09, 2007

Futurismo e Neofuturismo: l'essenza è la lotta

"Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro" (F. T. Marinetti, Manifesto del futurismo). Il punto 7 del Manifesto del futurismo resta un'affermazione travolgente e di grandissima attualità. La lotta è l'essenza del pensiero futurista ed è alla base anche del neofuturismo. In un mondo che allora come oggi vive nell'immobilità pensosa, nell'estasi e nel sonno bisogna riscoprire la bellezza del pensiero e dell'azione aggressiva. In questo davvero i manifesti futuristi sono autentici capolavori. Certamente più della gran parte delle opere futuriste, che spesso perdono in aggressività, concentrandosi forse troppo sul rinnovamento formale. Insomma, impressionano e ci scuotono maggiormente le pagine del Manifesto del futurismo delle parole in libertà di Zang Tumb Tuuum. I manifesti furono recepiti in tutto il mondo nella loro straordinaria potenza rivoluzionaria, le critiche furono tutte fuori bersaglio e la storia successiva lo ha dimostrato. Ma i futuristi russi misero in una certa difficoltà Marinetti sulla tecnica delle parole in libertà. Marinetti se la cavò come sempre brillantemente, ma non sciolse tutti i nodi del problema. D'altra parte la sua invenzione era talmente nuova e temeraria che lui stesso stava ancora elaborando quell'idea. Il neofuturismo ha sempre davanti a sè l'esempio dei nostri amati predecessori. E cercherà di mantenere sempre e in ogni sua forma espressiva l'originaria spontaneità della lotta energia assalto che tanto sta sconvolgendo l'immobilismo stasi contemplazione del mondo contemporaneo.
Antonio Saccoccio

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giovedì, settembre 06, 2007

Contro la Notte Bianca. Io mi diverto da solo

Come tutte le mode odierne, quella delle Notti Bianche ha contagiato il nostro paese in modo penosamente insensato. Sono passati pochi anni dall’inizio di questo delirio collettivo e ancora il fenomeno è in preoccupante espansione. Destra e sinistra sono come al solito indistintamente unite nel dare vita all’ennesimo rimbecillimento generale. Anche i vecchi media, vera retroguardia culturale, ignorano il problema. Resta il web, unico spazio per il dissenso. Sta a noi quindi denunciare il fenomeno come pura idiozia collettiva. Sta a noi denunciarne i pericoli insiti nel suo meccanismo estremamente totalitario. C’è chi comanda, chi ha il potere e ormai sceglie persino il divertimento per tutti. Decide tempi, luoghi e modi. Gli altri sono il Nulla.
Il Neofuturismo impone un brusco cambio di rotta. Ogni uomo dovrà riappropriarsi delle proprie capacità creative, respingere l’assalto di simili massificanti manovre e inventare personalmente i propri spazi riCreativi.
Antonio Saccoccio

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domenica, settembre 02, 2007

L'operazione anti-Marinetti, fallimento della critica militante

Il disegno volto ad oscurare una figura di primissimo piano come Filippo Tommaso Marinetti è stato perseguito dalla critica italiana con un’insistenza e una caparbietà irriducibili. Qualsiasi “Signor Nessuno”, aspirante poeta o romanziere, si è guadagnato parole bonarie dai nostri critici compiacenti, qualsiasi raccolta poetica di basso profilo ha ottenuto lodi e pagine antologizzate. Ma non era compito dei nostri critici valutare i pregi di costoro. Erano tutti tesi in uno sforzo sovrumano ad annientare il fondatore dell’unica avanguardia che abbia avuto il nostro paese. Se oggi ci ritroviamo un paese che ignora il futurismo e Marinetti, e, peggio ancora, li giudica negativamente, lo dobbiamo a questi critici militanti. Si è trattato di una vera e propria operazione squadristica contro Marinetti e contro il futurismo, che ha visto in prima linea i critici marxisti, spalleggiati all’occorrenza da liberali e cattolici. Per decenni nessuno (se non pochi valorosi) ha difeso Marinetti. E' importante sottolineare che i danni derivanti da questa ignoranza non restano nell’ambito della pura cultura artistico-letteraria, ma sconfinano in tutti i settori dell’agire umano. Se oggi l’Italia è sotto molti punti di vista un paese arretrato, è anche perché l’Italia ha rinnegato il futurismo.
Le forze propulsive azionate dal futurismo sono ancora attive in tutto il mondo, ma proprio qui in Italia si è sempre tentato di arginarle, perché non si è voluto e non si vuole ancora riconoscere a Marinetti il merito di aver creato un movimento d’avanguardia che ha influenzato, nel corso del secolo scorso, tutto il mondo sviluppato.
Sarà bene rileggere la seguente acuta pagina di Luigi Tallarico, che è un vero storico dell’arte, non uno dei tanti servi di partito.
“L’operazione anti-Marinetti ha come punto focale, da una parte, l’animosità politica di certi ben qualificati esponenti della cultura di sinistra, che sulla base dell’affermazione di Walter Benjamin (peraltro espressa nel 1936, cioè nel momento più cruciale della lotta degli antifascisti, ridotti a manutengoli dell’imperialismo moscovita), considerano il “doppio risvolto, idealizzante ed estetizzante” di Marinetti, che avrebbe, nientemeno, “trattenuto l’insieme del movimento in una zona superficiale e, in ultima analisi, negativa davanti ai più brucianti temi moderni, impedendogli di uscire dall’ipoteca reazionaria, di compiere cioè il passo dallo stato d’animo rivoltoso all’azione autenticamente rivoluzionaria” (Mario De Micheli); e – dall’altra – il convincimento che ad influenzare positivamente lo svolgimento del movimento marinettiano sia stata la fortunosa e limitata acquisizione al futurismo di alcuni grossi nomi nel campo delle arti figurative. È da osservare che quest’ultimo giudizio aveva ottenuto una certa considerazione, negli anni precedenti alla ultima guerra, quando, per intenderci, si parlava, sia pure mal volentieri, di un Boccioni, di un Balla, di un Sant’Elia o di un Prampolini, ma non si dava assolutamente credito, per esempio, al teatro marinettiano e agli esperimenti linguistici della poesia visiva. Senonchè, soltanto di recente, questo giudizio è stato rigettato dalla critica più avveduta, che ha definitivamente riconosciuto come, senza Marinetti, tutto il futurismo – anche nel campo “scontato” dell’arte – non sarebbe mai esistito. L’altro giudizio, alquanto di maniera, che viene invece formulato, ancora oggi, da alcuni ritardati e attardati antifascisti (è da rilevare che Lenin, Lunaciarsky e Gramsci avevano, al contrario, intravisto la portata “rivoluzionaria” del futurismo), è rimasto come un galleggianti senza freno, perché legato a distorti pregiudizi e a vecchi schemi, che il pensiero moderno, nonostante il nostalgico odierno “ritorno” in Italia di un marxismo e di un liberalismo, già superati da oltre mezzo secolo, ha svuotato di ogni contenuto politico e di ogni valore cogente"

Tutto molto chiaro. Assistiamo ancora oggi, e sono passati decenni dalle parole di Tallarico, a questi pregiudizi anti-futuristi, ormai bollati da quasi tutta la critica, ma ancora molto diffusi negli ambienti di quella che chiamo “media cultura” (che è poi “presunzione di cultura”, “cultura consumista”).
Per coloro che invece vogliono ben comprendere la natura del futurismo e del pensiero di Marinetti, ancora più illuminante è quanto Tallarico chiarisce poco dopo. Sono considerazioni di una disarmante chiarezza, considerazioni che, partendo dal rapporto arte-politica, arrivano ad affrontare quel rapporto tra arte e vita che è alla base del pensiero futurista.

“Prima di concludere, mi siano consentiti due ultimi rilievi, che certamente non piaceranno ai conformisti, ai politici e ai gazzettieri del regime, che hanno abituato l’opinione pubblica alla reticenza, se non alla distorsione vera e propria della verità: Primo, la scelta politica è nata in Marinetti contemporaneamente con la ricerca poetica (“non fa dell’arte se non chi fa della guerra”), contro i teorizzatori liberali delle presunte “autonomie” della teoresi e della prassi, nonché controgli attuali falsificatori di un Marinetti, “intrappolato” dal fascismo, per l’offerta di uno scranno accademico; Secondo, il futurismo e Marinetti non hanno mai considerato la politica “come l’unico mezzo ideoneo a trasformare la vita dell’uomo”, con ciò scongiurando la caduta dell’arte in quell’esplicito e dichiarato contingentismo di carattere politico e sociale, come abbiamo già detto, e che rappresenta oggi, a comunismo trionfante, uno degli aspetti più vacui dell’odierna caduta dei fenomeni estetici, nullificati fino alla operatività politica vera e propria. Al contrario, invece, l’arte, per il futurismo – come ha scritto Calendoli – “può trasformare la vita dell’uomo e renderla più piena, più felice: l’immagine, ove sussista come tale, è perennemente tesa alla trasformazione della realtà. E perciò l’arte non è oggetto, ma atto. Fin dalle prime manifestazioni il futurismo supera il concetto dell’arte come contemplazione e contiene i principi di un’arte che è comportamento, che è sfida, che è vita da vivere, che è gioco supremo, che è partecipazione, che è lotta, che è, infine, esplicitazione dinamica di un programma”.

Queste parole di Giovanni Calendoli dovrebbero restare scolpite nella mente di ognuno di noi. L’arte non come oggetto, ma come atto, azione, sfida continua, e ancora come “esplicitazione dinamica di un programma”.

Antonio Saccoccio

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