LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

martedì, febbraio 18, 2020

I quattro elementi. Visioni futuriste (Galleria Futurism & Co di Roma, a cura di A. Saccoccio)


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venerdì, aprile 14, 2017

Natura, cultura e tecnoscienza nel Futurismo italiano

In questo articolo pubblicato sul Giornale di Sicilia viene riportata una breve citazione tratta dal saggio intitolato Natura, cultura e tecnoscienza nel Futurismo italiano, che appare nel catalogo della mostra "Il futuro sopravvissuto" (curata da G. Carpi e G. Stagnitta, Lantana editore). 

Riesaminando alcune pagine fondamentali dei testi futuristi (marinettiani, ma non solo), appare chiaro che il primo movimento europeo d’avanguardia fu molto più di un’entusiastica, ingenua, acritica esaltazione della tecnoscienza.
Nel saggio chiarisco il senso di questa affermazione, analizzando manifesti e testi teorici in primo luogo di Marinetti, ma anche di Pratella, Boccioni e i pittori futuristi.


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venerdì, dicembre 02, 2016

Manifesto della ReteStudioAmbiente Futurista

Diamoci un luogo! Prendiamoci lo spazio che ci serve!

Manifesto della ReteStudioAmbiente Futurista

Amici futuristi! Abbiamo attraversato insieme un intero lunghissimo secolo, eppure manifestiamo ancora oggi, in un decennio fradicio di rampantismo mediocre e miserabile servilismo, una clamorosa indiscutibile impavida vitalità. La nostra presenza è ancora scandalosa, le nostre parole vibrante scossa elettrica. Siamo la principale forza propulsiva del Terzo Millennio.
E allora, amici futuristi, prendiamoci uno spazio ancora maggiore!
Le nostre attività oggi gravitano attorno a una sede diventata negli anni nucleo aggregante per numerose azioni futuriste. In tutta Italia (e anche oltre) abbiamo CaseStudioAmbiente Futuriste. Ne abbiamo a Roma, Torino, Palermo, Forlì, Latina, Ferrara, Viterbo, Salerno, Brema, Cracovia.
Bene! Benissimo! ma questo ancora non basta!
Occorre oggi mettere in rete tutte le CaseStudioAmbiente Futuriste e creare la ReteStudioAmbiente Futurista! Dobbiamo unificare le nostre vite unificando i nostri spazi futuristi. E dobbiamo fare in modo che sempre più passatisti, presentisti e semifuturisti si convertano definitivamente al Futurismo unendosi alla nostra ReteStudioAmbiente Futurista.

La CasaStudioAmbiente Futurista.
È la stanza, lo studio, l’intera abitazione che il futurista impregna quotidianamente della propria vitapensieroazione futurista.
La CasaStudioAmbiente Futurista sarà:
·        Poliespressiva
·        Antigraziosa
·        Diagonalizzante
·        Aggregante
·        Reteale

Nella CasaStudioAmbiente Futurista troveranno posto:
·        esposizione permanente delle Libere Creazioni Futuriste (pittura scultura fotografia moda ceramica etc.)
·        archivio del Libro Futurista (manifesti libri volantini poster e altro materiale cartaceo);
·        archivio Audiovisivo Futurista (documenti sonori e audiovisivi di registrazioni e performance futuriste);
·        elaboratori elettronici per garantire la connessione con le altre CaseStudioAmbiente Futuriste e quindi la creazione della ReteStudioAmbiente Futurista.

La ReteStudioAmbiente Futurista.
È la continua interconnessione delle varie CaseStudioAmbiente Futuriste. Questa interconnessione avviene utilizzando tutti i mezzi di comunicazione e trasporto a disposizione, nessuno escluso!
Ogni anno la ReteStudioAmbiente Futurista si manifesta platealmente in occasione di eventi tesi a garantire la massima diffusione alle novità futuriste.

Diamoci un luogo! Prendiamoci lo spazio che ci serve!

2 dicembre 2016

Antonio Saccoccio (Latina-Roma), Antonino Gaeta (Palermo)

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mercoledì, maggio 04, 2016

I boccoli e i social network: l'ignoranza senza vergogna di Corrado Augias

Corrado Augias, nel corso di un'intervista (c'è ancora chi lo intervista a un dinosauro simile...), ha regalato l'ennesima perla della sua ignoranza. Stavolta lo ha fatto a proposito della tragica vicenda della piccola Fortuna Loffredo, stuprata e poi uccisa: 
"Questa bambina che aveva 5-6 anni, la guardi bene... Guardi com'è atteggiata e com'era pettinata e come sono i boccoli che cadono... Questa qui è una bambina che a 5-6 anni si atteggia come se ne avesse 16-18..."
I boccoli che cadono!
Ovviamente quel cervellino di Augias è così pericolosamente retrogrado che non si è neppure reso conto dell'imbecillità della sua affermazione. E infatti, dopo che è stato messo alla gogna un po' ovunque, non ha trovato niente di meglio che accusare, pensate un po', i social network! Sì, non è lui ad aver detto un'idiozia, ma sono i soliti social che sono superficiali! Leggiamo il cervellino come argomenta: "Ancora una volta si conferma il fatto che la comunicazione nei social è grezza e approssimativa". Avete capito bene: grezzo non è Augias e il suo cervello bacato, grezzi sono i social perché denunciano la sua ottusità! 
Insomma, ancora una volta trova conferma la pericolosità di questo tizio, libero di scorrazzare (pagato!) sui canali della TV di Stato e di disprezzare milioni di liberi cittadini che, per fortuna, evidenziano la sua imbecillità sui social network. Eppure noi ben 7 anni fa avevamo ben delineato l'ignorante ottusità dell'individuo, con una campagna che ottenne un notevole riscontro proprio sul tanto disprezzato web. Per chi volesse rileggersi la tragicomica vicenda, questo il post con cui prese avvio la nostra campagna anti-Augias.
Il problema non sono i boccoli che cadono, sono le scemenze che fioccano!

Evviva i bambini, con i boccoli e senza!
Evviva i social network che amano i boccoli e azzerano le cazzate di Augias!

Antonio Saccoccio

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giovedì, marzo 17, 2016

WHITE STRIKE on facebook

Siamo così convinti di avere sempre qualcosa di importante da comunicare?
Ha un senso inondare i social network di banalità?
Forse è il caso di tacere. Forse è il caso di fare uno SCIOPERO BIANCO.
Vaporizziamo le discussioni, a partire dalle più banali fino ad arrivare a tutto il superfluo.

INIZIAMO CON FACEBOOK. SBIANCHIAMOLO. RIPULIAMOLO.


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sabato, febbraio 20, 2016

ENDEKALOGO MARINETTIANO


ENDEKALOGO MARINETTIANO

Manifesto antologico disarmonico prospettico in elastico contrappunto ideale per l’ingigantimento dell’umanità futura

1. L’umanità cammina verso l’individualismo anarchico.

Alternativa estrema all’odierno avvilente individualismo di massa.

2. Siamo intraprenditori di demolizioni, ma per ricostruire. Sgombriamo le macerie per poter andare più avanti.

Tutti compressi schiacciati asfissiati: conseguente necessità di demolire strutturalmente
l’esistente. Ogni tentativo di riforma vano. Siamo barbari superiori: distruggiamo per rigenerare e prepariamo il mondo nuovo.

3. Bisogna distruggere l’ossessione della ricchezza.

Bisogna ridicolizzare i servi del denaro.

4. Noi vogliamo combattere contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.

Opportunismo principale veleno italiano. Incapacità di costruirsi una vita con le proprie forze, assenti le grandi passioni e spinte ideali. Tentativo di servirsi delle relazioni umane per il proprio tornaconto. Utilitarismo fratello spirituale dell’opportunismo. Vltà madre di entrambi.

5. Creare vivendo. Talvolta contraddirsi. Affermare, slanciarsi, battersi, resistere, riattaccare! Indietreggiare mai! Marciare non marcire!

Affermazione spavalda e temeraria della propria unicità, del proprio coraggio, del proprio ideale.

6. La terra rimpicciolita dalla velocità. nuovo senso del mondo. Gli uomini conquistarono successivamente il senso della casa, il senso del quartiere in cui abitavano, il senso della città, il senso della zona geografica, il senso del continente. Oggi posseggono il senso del mondo; hanno mediocremente bisogno di sapere ciò che facevano i loro avi, ma bisogno assiduo di sapere ciò che fanno i loro contemporanei di ogni parte del mondo. conseguente necessità, per l’individuo, di comunicare con tutti i popoli della terra. conseguente bisogno di sentirsi centro, giudice e motore dell’infinito esplorato e inesplorato. Ingigantimento del senso umano e urgente necessità di fissare ad ogni istante i nostri rapporti con tutta l’umanità.

Immensificazione della sensibilità umana per effetto delle rivoluzioni tecnoscientifiche.
Cosmopolitismo e nomadismo di scoperta (non omologante!).
(vedi anche Herbert Marshall Mcluhan)

7. Io v’insegno a disprezzare la morte, a nutrirvi di pericolo, a rischiar la vita, come fate, per un’idea, per uno sguardo, per uno spettacolo!

Le belle idee per cui si muore. condizione oggigiorno estremamente circoscritta,
considerando la scarsità di idee circolanti.

8. A Mommsen e a Benedetto Croce opponiamo lo scugnizzo italiano.

A Hobsbawm e Umberto Eco opponiamo il troll della rete globale.

9. Bisogna dare a tutti la volontà di pensare, creare, svegliare, rinnovare, e distruggere in tutti la volontà di subire, conservare, plagiare.

Splendente utopia per la futura liberazione del genere umano da professoralismo psittacismo sgobbonismo servilismo. nel frattempo salviamo dalla vile dittatura della maggioranza i pochi che ancora pensano, creano e rinnovano. Saranno quei pochi a preparare l’utopia.

10. Il fiuto, il fiuto solo, basta alle belve!

Il calcolo, il calcolo solo, resta ai sotto-animali!

11. Non v’è più bellezza se non nella lotta.

Nulla è bello se non si nutre di agonismo. In altre epoche, forse, lottare potrà essere superfluo, ma per noi che viviamo sopraffatti da istituzioni soffocanti e mortifere la capacità di lottare è l’unica imprescindibile per poter sperare in un futuro differente.

11 + 1. Bisogna sputare ogni giorno sull’Altare dell’Arte!

L’Arte è una truffa.
(vedi anche Dada e Internazionale Situazionista)

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venerdì, ottobre 09, 2015

La nuova sfida del XXI secolo: centralismo versus decentramento

Chi parla di destra e sinistra è davvero un rudere, un arnese da relegare in una bottega d'antiquariato. Oggi bisogna solo discutere di decentramento e centralismo, di globalizzazione e massificazione. Il resto è davvero una chiacchiera fastidiosa, insulsa, mortifera.

«I ragazzi del nuovo millennio parlano raramente in termini di destra e sinistra o di capitalismo e socialismo. Il loro giudizio sulla condotta politica risponde a uno schema mentale molto diverso. Ciò cui guardano è se il comportamento delle realtà istituzionali, siano esse governi, partiti, imprese o il sistema scolastico, segue un modello centralizzato, gerarchico, patriarcale, chiuso, legato alla proprietà o un modello distribuito, collaborativo, aperto, trasparente, paritario, espressione di potere laterale». (Rifkin)

domenica, aprile 05, 2015

Una brevissima risposta a chi mi chiede di Renzi, Giannini e altri campioni di imbecillità

Giusto una brevissima risposta a chi mi chiede di lottare ancora contro la "buona scuola". 
Discutere con Renzi, Giannini e simili di scuola, istruzione, educazione, apprendimento è semplicemente inutile. Il loro livello di consapevolezza è sotto lo zero. Le loro proposte talmente sciocche da non meritare il nostro tempo. A costoro manca l'istinto, manca l'intuito, manca la consapevolezza. Hanno, in sintesi, la vitalità dei cadaveri. 
Occorre proseguire in direzione contraria alla stupidità, ma con la travolgente allegra spregiudicatezza che vediamo negli scolari in baldoria. 
Siate voi stessi e non prendete neppure in considerazione chi vorrebbe obbligarvi per legge a essere stupidi, tristi e beceri. Vogliono scuole completamente ridotte a calvari inutili in cui portare a spasso le loro frustrazioni? Bene! Avanti! Subito! Correranno poi tutti più in fretta da noi che sorridiamo anche ora che sembriamo sconfitti. Lasciamo loro la discussione da imbecilli quali sono. Parlare a lungo di stupidaggini, si sa, inebetisce. E ho già detto troppo.

Antonio Saccoccio

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sabato, marzo 28, 2015

Cacciari risponde a Poletti sulle vacanze scolastiche: ma non basta

L'ultrapassatista ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha dichiarato che occorre ridurre le vacanze estive dei ragazzi (tre mesi sono troppi!) sostituendole con percorsi formativi e lavorativi. 
Ennesima penosa affermazione della paralisi socio-culturale italiana, europea e mondiale.
Il ministro Poletti, con la sua demonizzazione delle “vacanze”, unita alla glorificazione della “formazione” e del “lavoro”, esibisce la grottesca decadente rappresentazione del pensiero totale che ha condotto il mondo occidentale nell’attuale profondissima crisi, non economica, ma culturale, sociale, morale e intellettuale. Ciò che disturba maggiormente è l’incapacità della cecità dei politici di professione di fronte alle opportunità offerte dalla tecnoscienza
Ci ha pensato, in parte, Massimo Cacciari, intervistato dal “Fatto Quotidiano”, a ridicolizzare le affermazioni di Poletti. In realtà le prime affermazioni del filosofo sono state piuttosto vaghe e non hanno colto affatto il bersaglio. Di ben altro tenore la seconda parte dell’intervista, in cui ha finalmente toccato due temi fondamentali. Innanzitutto viene smontato l’assioma per cui le “vacanze” siano da considerarsi tempo perso per la formazione. Afferma Cacciari, con la sicurezza di chi sa di non poter essere smentito: “Le vacanze mi hanno formato diecimila volte più di due anni scolastici”. È davvero uno spettacolo penoso ascoltare ministri che ancora credono all’idea gretta e reazionaria di una scuola che forma e costruisce e di una vacanza che distrugge. Solo aumentando il tempo non alienato è possibile aumentare le nostre libere conoscenze.
L’altro affondo di Cacciari è contro “l’idea trogloditica che la produttività si misuri sul tempo di lavoro”. E poi precisa con puntualità: “In un’epoca in cui, grazie allo sviluppo tecnologico, il 90 per cento del lavoro potrebbe essere svolto utilmente da casa, questi arcaici predicatori vanno in giro a dire che bisogna stare più tempo a scuola o in ufficio. Come se studiare o lavorare un mese in più facesse la differenza. Un ragionamento talmente comico che non ci si crede. Sembra che siano fermi a prima dell’invenzione del telefono, questi signori”.
In realtà questi signori sono fermi a prima dell’invenzione del telegrafo. Non si sono resi conto che il modello sociale emergente non è e non può più essere quello della scuola dell’obbligo e del lavoro alienato. Non ci vuole di certo Cacciari per prendere atto che tutto quello che si apprende in due anni scolastici potrebbe essere appreso decisamente meglio in un mese liberamente impiegato nell’approfondimento (magari cooperativo) dei propri interessi, e senza marchiare questo mese con l’istituzionale parola “formazione”. E non ci vuole Cacciari per comprendere che l’automazione ci ha liberato da gran parte del lavoro e che il tempo libero andrebbe accolto con gioia e non trasformato nella tristezza della disoccupazione (Illich resta ancora un punto di riferimento). Cacciari non porta però alle ultime conseguenze il suo discorso, non arriva a dire che i politici come Poletti non dovrebbero avere come obiettivo quello di privare i giovani degli unici tre mesi di libertà, ma dovrebbero pensare a estendere quella libertà anche agli adulti, soffocati, divorati e demoliti dall’ansia produttiva. Fino a quando avremo politici che vogliono traghettarci nel XXI secolo con la loro mente rivolta all’Ottocento, saremo costretti alla paralisi culturale e sociale. È ora che almeno una parte dei politici si renda conto che per affrontare la crisi non abbiamo bisogno di respirare meno e studiare/lavorare di più, ma necessitiamo esattamente della cura opposta. Più aria e vacanze per tutti.

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venerdì, novembre 28, 2014

Simultaneità e multitasking: dal futurismo alla civiltà delle reti

La simultaneità futurista ha anticipato di decenni l'attuale multitasking.
Il cosiddetto multitasking è stato descritto qualche anno fa da Baricco in questi termini:

"Il multitasking. Sapete cos’è? Il nome gliel’hanno dato gli americani: nella sua accezione più ampia definisce il fenomeno per cui vostro figlio, giocando al Game Boy, mangia la frittata, telefona alla nonna, segue un cartone alla televisione, accarezza il cane con un piede, e fischietta il motivetto di Vodafone. Qualche anno e si trasformerà in questo: fa i compiti mentre chatta al computer, sente l’iPod, manda sms, cerca in Google l’indirizzo di una pizzeria e palleggia con una palletta di gomma. […] Il multitasking incarna bene una certa idea, nascente, di esperienza. Abitare più zone possibili con un’attenzione abbastanza bassa, è quello che evidentemente loro intendono per esperienza".

Ma ecco cosa scriveva Fedele Azari in Vita simultanea futurista nel 1927:

"Esempi di vita simultanea
Napoleone dettava piú lettere a diversi segretari alternando rapidamente le frasi.
Marinetti conversa coi futuristi simultaneamente con risposte intrecciate ed è sua abitudine il raccomandare agli interlocutori che parlino contemporaneamente. […]
I treni muniti di telefono, cinematografo e radio, le complicate poltrone meccaniche con servizio simultaneo di coiffure, manicure, pedicure, massaggio, radioaudizione e telefono, i diners dansants-variété che rallegrano i piú importanti centri cosmopoliti e mondani, costituiscono esempi caratteristicamente moderni di vita simultanea".

Il multitasking era quindi già stato praticato e descritto dai futuristi, seppur a livelli iniziali. È indubbia la parentela tra i due concetti. È indubbio che il processo che timidamente si avviava un secolo fa oggi è rumorosamente esploso. È indubbio che il futurismo ha intuito l'affermarsi di una nuova sensibilità nella percezione del mondo.

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mercoledì, agosto 27, 2014

Per una nuova marcia del coraggio, barbara e futurista

Per una nuova marcia del coraggio, barbara e futurista


«Vigliacchi! Vigliacchi! vigliacchi!» scriveva Boccioni nel suo Pittura scultura futuriste (1914), urlando il proprio disprezzo per le abitudini servili degli italiani del tempo. Era profondamente indignato (qualcosa di molto lontano dall’indignazione modaiola di oggi), perché in Italia ci si attardava «nella coltivazione delle muffe del passato» e si aveva «per vigliaccheria, l'odio del nuovo».

Abbiamo bisogno solamente di coraggio. L’Italia manca di coraggio. Gl’Italiani non sono abbastanza coraggiosi (intendo: spiritualmente). É necessaria una cura di coraggio. La storia, la cultura, l’ingegno: bellissime cose (per i vigliacchi) ma non valgono assolutamente il coraggio.

Queste parole sono invece di Giovanni Papini, altro campione del libero pensiero, altro eretico a tutto tondo. La sostanza non cambia. Papini volle scrivere questa sua Marcia del coraggio (1913) per sostenere l’assoluta necessità di essere ancora più audaci di quanto lo si fosse in quel momento (ed erano gli anni futuristi di «Lacerba», rimasti insuperati per temerità). Il coraggio alla base e prima di ogni tentativo di pensiero e azione.

Noi stessi che cantiamo il coraggio, che invochiamo il coraggio, che predichiamo il coraggio, che abbiamo fatto del coraggio il nocciolo della nostra arte, il motivo del nostro pensiero, la regola della nostra vita — noi stessi che abbiamo più coraggio degli altri, più coraggio di tutti e che ci vergognamo dell’altrui vigliaccheria come di un nostro disonore — noi stessi che abbiamo tentato di sradicare i rispetti umani, i rispetti artistici, i rispetti ragionevoli e altre religiosità e venerazioni e devozioni pubbliche e generali noi stessi non siamo abbastanza coraggiosi.

Ecco, forse dovremmo iniziare a chiederci perché occorra andare indietro di un secolo intero per ritrovare dell’autentico coraggio. Il coraggio di scrivere e dire ogni giorno quello che scrivevano e dicevano i vari Boccioni, Marinetti, Papini, Pratella, etc.
È inutile cincischiare: ancora oggi chi ha davvero a cuore le sorti dell’umanità (la propria umanità e l’Umanità in toto) deve avere prima di tutto coraggio. Inutile affermare altri magnifici ideali, inutile prospettare ulteriori visioni del mondo, se prima non ci armeremo di autentico coraggio. Solo il coraggio potrà condurci alla svolta di cui abbiamo bisogno.
Partiamo pure dalla considerazione che viviamo un periodo assai cupo della storia del genere umano (ma abbiamo mai goduto di un periodo davvero sereno?), in cui siamo ormai asserviti ai meccanismi perversi avviati dalla modernità e impaludati nell’apatia dell’habitus postmoderno. Probabilmente siamo in condizioni peggiori rispetto a quelle di un secolo fa (quando la modernità sembrava promettere meno catene e più libertà). Ora, se desideriamo uscire dalla gabbia moderna e dalla melma postmoderna (mai mix fu più deleterio), dovremo procedere con un’audacia smisurata, lasciandoci per una volta guidare anche dagli impulsi vitali più irriducibili. Bisognerà nuovamente avere il coraggio di essere presi per stronzi e per matti, per esaltati e per pagliacci. Il coraggio di essere un po’ barbari e un po’ selvaggi. Il coraggio di sputare su tutti gli idoli e gli altari consacrati dall’idiozia di massa. La massa fa paura solo a chi non ha cuore (e coraggio). Quell’ammasso indistinto di corpi-cervelli che caratterizza la contemporaneità passatista e presentista (la massa, appunto) è ovunque ci sia vigliaccheria e manchi il coraggio. I ministri trentenni (o giù di lì) che parlano come pre-adolescenti primi della classe; e i parlamentari quasi centenari sempre adorati per il loro naturalissimo moderatissimo rincoglionimento. I giornalisti di stampa e tv che ci presentano la realtà in cui viviamo con almeno un decennio di ritardo; e i docenti universitari che, per doverosa serietà scientifica e per distinguersi dai giornalisti, di decenni di ritardo preferiscono averne almeno tre o quattro. Gli artisti colti che riempiono gallerie di minchiate colossali (in grado però di stimolare l’altrettanto colossale minchioneria dei critici d’arte); e gli artisti incolti che producono le stesse minchiate, ma le espongono nel circoletto alternativo orgogliosamente addobbato con le foto del mito Che Guevara. I ragazzotti di città che si annoiano tracannando immondi bicchieri d’acqua sporca (che si vende con il nome di “mojito”); e i ragazzotti di campagna che si fanno 20 chilometri per andare in città e bere gli stessi immondi bicchieri. E poi tutte le ricche celebrità che fanno generosa beneficienza, e tutti i poveri anonimi fessi che ammirano i ricchi famosi che fanno generosa beneficienza. Di tutta quest’anodina massa di corpi-cervelli (e di molto altro) si deve far beffe il nostro coraggio. Non dobbiamo aver paura di risultare antipatici, molesti, presuntuosi, superbi, arroganti, incompresi. Ce ne dobbiamo spavaldamente fottere del senso comune. Dobbiamo liberarci dalle troppe catene (materiali morali ideologiche) che ci hanno messo e ci siamo messi addosso. Senza il coraggio di far piazza pulita del tanfo mortifero che ci circonda, non avremo mai la possibilità di costruire nulla che sia realmente vivo.
Per questo motivo, prima di ogni altra analisi, prima di ogni onesto proclama, prima di ogni buon proposito

NON DOBBIAMO AVER PAURA DI DIRE

Basta con il continuo richiamo alla pazienza, alla saggezza, alla prudenza.
Basta con gli appelli alla responsabilità, alla moderatezza e al quieto vivere.
Non abbiamo più bisogno di speculazioni certosine, di analisi cervellotiche, di sofismi variamente elaborati.
Non abbiamo più bisogno di volti seri e facce compunte.
Non ci servono professori. Non ci servono critici.
Non ci servono specialisti. Non ci servono professionisti.
Non abbiamo bisogno di lavorare duramente per sentirci vivi. E non abbiamo bisogno dello svago imbecille per riprenderci dal duro lavoro.
Non abbiamo bisogno di un medico ogni tre quarti d’ora e di un avvocato ogni quindici minuti.
Non abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica cosa fare e non fare ogni trentacinque secondi.
Facciamola finita con i cavilli delle leggi scritte. E pure con i richiami alla Magnifica Legalità e alla Intoccabile Costituzione.
Basta con i vigili e le guardie. Basta con i giudici.
E poi basta con le scuole, le officine, le caserme, le prigioni, gli ospedali.
Basta con gli esami, i concorsi, le qualifiche, i titoli, i premi.
Basta con le banche e con le assicurazioni. Basta con il grigiore impiegatizio.
Basta con tutto il miserevole corredo istituzional-burocratico che abbiamo creato in secoli e secoli di civilissima condivisissima auto-repressione.


Antonio Saccoccio

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mercoledì, marzo 12, 2014

Manifesto per l'Antiscuola della Vita: 5 punti per rivoluzionare le scuole

Che la scuola sia un'istituzione in cui regna unicamente la morte è ormai negato solo da chi possiede un'intelligenza in avanzato stato di decomposizione. Non c'è quindi più spazio per mediazioni, riformucce e struggenti compromessi per salvare il salvabile. Non c'è più nulla da salvare dove le muffe e le polveri soffocano quotidianamente passioni, istinti, vigore, coraggio.
Per porre fine all'agonia delle menti e dei corpi di bambini, adolescenti e giovani dai 5 ai 30 anni propongo l'applicazione integrale dei seguenti 5 punti programmatici.
Gli spiriti più timorosi e conservatori potranno leggere questo programma come una rivoluzione all'interno dell'attuale Scuola della Morte.
Gli spiriti più audaci, eretici, avanguardisti e libertari leggeranno questo programma come primo temerario passo verso la creazione dell'Antiscuola della Vita che tutti, consciamente o inconsciamente, desideriamo.


  1. LIBERTÀ E PIACERE NELL’APPRENDIMENTO
Introdurre e sostenere come principio fondativo dell’apprendimento la libera scelta, concertata e condivisa, di ciò che si vuole imparare: l’apprendimento è reale e significativo solo in presenza di una reale domanda di conoscenza (curiosità + piacere), non può esserlo se lo stesso soggetto impone prima la domanda, poi la risposta (cosa che accade abitualmente nelle scuole tradizionali). In quest’ultimo caso non può esistere apprendimento, ma solo indottrinamento.
Conseguente revisione e ridimensionamento, in seguito abolizione dei programmi scolastici nazionali.

  1. DALLE CLASSI CHIUSE ALLA SCUOLA APERTA
a) Inserimento di ogni attività di apprendimento in contesti naturali, demolendo l’artificialità della classe otto/novecentesca. Conseguente riduzione drastica delle ore di frequenza, poiché un paio d’ore di apprendimento reale in un contesto di apprendimento vivo, reale e vitale equivalgono a una settimana di frequenza negli attuali dormitori scolastici.
b) Equilibrare lo studio libresco con quello derivante dagli altri media (supporti audio, video, internet, etc.). Conseguente riattivazione della sensoralità perduta.
c) Abolizione dei manuali unici di studio, responsabili di visioni non pluralistiche del mondo.

  1. RETI SOCIALI DI APPRENDIMENTO
Creazione di reti sociali per l’apprendimento, non costituite in base a differenze di sesso, età, nazionalità, ma esclusivamente in base a interessi e passioni condivise. Tali reti saranno il risultato della contaminazione tra reti sociali digitali e contesti comunitari conviviali. Le reti opereranno in un contesto scolastico e in un contesto extrascolastico in modo continuativo e naturale, abolendo l'odiosa penosa separazione tra scuola e vita.

  1. NO AL VALUTAZIONISMO
Graduale riduzione della centralità della valutazione nei processi educativi fino alla sua sparizione. Conseguente riforma e poi abolizione degli esami. Conseguente abolizione del valore legale dei titoli di studio.

  1. DAL PROFESSORE AL FACILITATORE DELL’APPRENDIMENTO
Il ruolo dell’attuale professore, unico detentore del sapere e suo diffusore, sostituito da una figura che assommi quelle di guida, facilitatore, operatore di rete nei processi di apprendimento. Chi insegnerà? Chi avrà realmente qualcosa da insegnare. (Sono quindi esclusi coloro che possiedono un'abilitazione all'esercizio della memorizzazione coatta di informazioni inutili e indesiderate).

Che la vita torni a scorrere elettrizzante e pericolosa per tutti i bambini e giovani esseri umani.

Antonio Saccoccio

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mercoledì, marzo 05, 2014

La grande bellezza e la grande truffa dell’arte contemporanea

C’è una scena de “La grande bellezza” che in pochi hanno sottolineato a sufficienza e che invece vale metà del film: la performance artistica all'acquedotto romano e la successiva intervista del giornalista Jep Gambardella (Tony Servillo) alla body-artista Talia Concept (interpretata da Anita Kravos).
Si tratta di una scena che mette in ridicolo le performance artistiche contemporanee, ma soprattutto l’ignoranza e la vacuità che si nascondono dietro quelli che si fan chiamare oggi “artisti”. Una scena che rivela una conoscenza piena del mondo dell’arte contemporanea e dei suoi grotteschi rituali.
La performance contiene tutti i luoghi comuni delle performance artistiche: la presenza di corpi nudi (che siano preferibilmente “bei corpi”); la preparazione di un set, possibilmente contaminando l’antico (l’acquedotto romano sull'Appia antica) con il contemporaneo (il palco di legno con tanto di segnaletica stradale); i riferimenti politici, meglio se internazionali (la falce e martello disegnata all’inguine) e comunque sempre decorativi e innocui; la presenza di sangue; il silenzio rituale di contemplazione-attesa rotto dall’urlo improvviso; la parola striminzita che deve risultare ambigua e allusiva a chissà quale dramma (il grido finale “Io non vi amo!”).
E poi c’è il pubblico, sul prato, ormai composto indistintamente da signori e signore dell’alta borghesia annoiata e dall’altrettanto annoiata gioventù pseudo-alternativa. La gente distesa sul prato che osserva attenta e concentrata la performance, e altrettanto diligentemente applaude, è un ritratto del vuoto esistenziale interclassista contemporaneo. La grande idiozia dell’arte contemporanea coinvolge ricchi e poveri, senza più alcuna distinzione, tutti uniti nel presentismo modaiolo, tutti alla disperata ricerca di qualcosa che li faccia sentire “diversi”, capaci di intendere qualcosa che gli altri non capiscono. Tutti privi delle facoltà, culturali, intellettuali ma soprattutto umane, utili a decifrare la palese truffa che si cela dietro la parola “arte”.


La successiva intervista completa il quadro dell’Artista alla perfezione. Il dialogo tra i due è una vera tortura per la ragazza. La quale, per trarsi d’impaccio, prova subito a buttarla in confusione parlando di una misteriosa “vibrazione”, di natura extra-sensoriale. Quindi, non sapendo spiegare cosa sia quella vibrazione, se ne esce fuori con uno dei cavalli di battaglia di ogni sedicente “artista”: «Io sono un’artista, non ho bisogno di spiegare un cazzo». Gli artisti non devono spiegare ciò che fanno, sono artisti e basta. Ma Talia non demorde perché vuole quell’intervista su quel giornale che ha così tanti lettori: tenta ancora di definire la vibrazione come “radar per intercettare il mondo” e tira persino in ballo il suo fidanzato, un artista concettuale che “rielabora palloni da basket con i coriandoli, un’idea sensazionale”. Ma Jep si spazientisce e definisce le parole della performer “fuffa impubblicabile”. L’intera scena si conclude abilmente con la risata della direttrice nana del giornale, risata che copre definitivamente di ridicolo l’artista e il mondo dell’arte che rappresenta.
Anche per l‘intervista la descrizione dell’artista è perfetta: il desiderio evidente e continuo di autopromozione; la consapevolezza di dover truffare il pubblico e quindi l’abitudine a parlare il meno possibile o il più possibile con termini vaghi e privi di senso; l’idea che i giornalisti siano complici della truffa, o perché anche loro ignoranti o perché a loro non sta davvero a cuore ciò che pubblicano. Talia Concept è sfortunata, perché Gambardella non è il solito giornalista cretino e sprovveduto, ma uno che ha piena consapevolezza del ridicolo che c’è dietro quelle performance e dietro il mondo dell’arte contemporanea. Talia Concept è solo una Marina Abramovic di provincia, più rozza e incolta e quindi assai meno pericolosa.
“La grande bellezza” ci offre quindi un prezioso affresco di chi è l’artista oggi, di cosa è l’arte oggi, di chi sono coloro che costituiscono il pubblico dell’arte oggi. Si salva solo Gambardella, unico a capire in un mondo di imbecilli. Ma, aggiungiamo noi, la consapevolezza di Gambardella è oggi estesa a larga parte della popolazione. Certo, lui possiede la superiore consapevolezza di chi quel mondo lo conosce bene, da vicino, e ne sa smascherare il ridicolo. Ma, accanto a quelli come lui, cresce ogni giorno la consapevolezza (magari non da addetti ai lavori, ma non meno importante) di chi proprio non ce la fa a lasciarsi prendere per il culo da simili sceneggiate.
Si è detto che gli americani hanno fatto vincere “La grande bellezza” perché hanno creduto che quella fosse davvero la Roma contemporanea. Ora, a parte il fatto che i premi non hanno mai stabilito il valore di nulla e nessuno, c’è da precisare che gli americani avranno pure scelto il film per motivi tutti loro, ma di certo quegli ambienti romani, ambigua commistione tra snobismo, alternativismo e volgarità, tra presentismo pariolino e presentismo pignetino, sono perfettamente descritti, con quel po’ di enfasi e parodia che basta per non restituire un realismo didascalico. Come nella scena della performance di Talia Concept. Come in queste battute tra signore ben vestite, che lascio a mo’ di epigrafe a memoria della coglionaggine esibita di tanti radical chic romani e non.

-  Hai cambiato colore dei capelli?
-  Sì, in questo periodo mi sento… pirandelliana. Bello questo jazz, vero?
-  Mica tanto. Secondo me oggi l’unica scena jazz interessante è quella etiope.


Antonio Saccoccio

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giovedì, gennaio 09, 2014

L’avventura Dada del MOMA di Hal McGee (con interpolazioni MAV)

Discussion topic:
Is MOMA dada?

È partita con questa semplice e diretta domanda un’appetitosa discussione su facebook. Che, infatti, dopo una settantina di risposte deve ancora terminare.
A lanciarla è stato HalMcGee e l’ha rivolta ai membri del MOMA (The Museum Of Musicassette Art), l’ultimo suo progetto. Un progetto brillante che prendiamo lo spunto per descrivere sinteticamente. 

Si tratta di un’altra delle trovate di Hal McGee: creare un vero e proprio Museo della Microcassetta, un museo tanto ricco da far invidia al MOMA di New York! Un Museo con ben 120 contributi sonori provenienti da tutto il globo. Grande ironia e grande leggerezza, ovviamente.
Hal McGee ha già pubblicato sul web 90 musicassette, complete di copertina, organico e dati tecnici sugli strumenti utilizzati. Quando l’intera raccolta sarà completata (il termine per l’invio delle musicassette è scaduto il 31 dicembre 2013) lui avrà a casa sua un vero e proprio Museo della Musicassetta, mentre noi ci dovremo accontentare di vederne un pallido riflesso nel sito web in cui l’interacollezione sarà raccolta


E ora arriviamo a Dada. McGee ha aperto la questione coinvolgendo più di cento musicisti e rumoristi di tutto il mondo: «Is MOMA dada?»
A questo punto si è scatenato il prevedibile scontro tra chi ha risposto in modo affermativo e chi negativo. E chi ha solo giocato. Era prevedibile. Anche Hal lo aveva certamente previsto. Hanno risposto Rafael González, Jay Decosta Peele, Massimo Magee, Seth Ossachite Stephens e altri. E sono intervenuti anche Antonio Saccoccio (chi scrive) e Stefano Balice, che – si sa – quando si alzano i toni, si lanciano sulla preda senza troppi complimenti. Questa la mia sintetica risposta: «I see irony and humor in the HAL'S MOMA. I see aRT that mocks Art (NY MOMA). All of this is fun, but also very serious. As Dada».
Con piacere abbiamo notato che Hal McGee la pensa come noi, affermando: «I can certainly say that my conception of MOMA bears the inspiration of the spirit of dada».
Ma soprattutto Hal ha condiviso le mie affermazioni più forti, quelle che non limitano Dada ad un movimento artistico storicamente concluso, ma ad una visione del mondo sempre viva, che continua sviluppandosi nel tempo come tutte le idee davvero importanti. Tant’è che oggi lo stesso McGee ha ripreso alcuni miei commenti rilanciandoli:

DADA - as is futurism - is not merely an artistic movement such as Cubism or Impressionism. DADA and Futurism are life philosophies, ideologies; indeed they are ways of living. For this reason, we can be Dada today. Indeed, we must be Dada today. These ideas are in advance of the sensibility of the majority of the population. A century ago there were 200 Dadaists, maybe today there are 200,000.
- adapted from comments by Antonio Saccoccio.

Hal aveva affermato in perfetta consonanza con le mie affermazioni: «I personally think it is a mistake to view dada as an historical art movement that ended. It is a spirit and a process». D’altronde è per questo motivo che anche il MAV (Movimento per l’Arte Vaporizzata) ha partecipato al progetto (con Tommaso Busatto, Roberto Guerra, Giovanni Nembrini, Antonio Saccoccio, Stefano Balice, Mattia Niero). Il Mav ha intravisto nei progetti di Hal McGee qualcosa di importante, quella “barbarie superiore” che cerchiamo. 


Quando affermo che un secolo fa erano Dada in 200 e oggi lo sono in 200.000, sto riaffermando con consapevolezza la possibilità che le idee radicali lanciate cento anni fa da poche decine di avanguardisti siano oggi condivise da migliaia di individui in tutto il mondo. Si sta creando (forse in parte si è già creata) un’avanguardia di massa, possiamo chiamarla anche un’“avanguardia postmoderna” (e già vediamo i soliti schizzinosi benpensanti storcere il muso). Si tratta di comprendere che ancora non ci può essere in decine di migliaia di uomini e donne una consapevolezza pari a quella che avevano Marinetti, Boccioni, Tzara, Huelsenbeck, Duchamp, Breton, Debord. Ma d’altra parte noi sappiamo anche che, ad esempio, neppure tra le poche decine di futuristi attivi tutti erano consapevoli allo stesso modo: vogliamo credere che Buzzi, Folgore o Altomare avessero la stessa consapevolezza di un Boccioni? Certamente no. E anche oggi è così, solo che i numeri sono incredibilmente cresciuti. Intendiamoci, a fare da apripista restano in pochi. Di Hal McGee non ce ne sono a migliaia, ma esistono centinaia, migliaia di partecipanti ai vari network che portano avanti operazioni radicali come quella del MOMA. È un’avanguardia che è assurdo chiamare ancora avanguardia artistica, perché è troppo evoluta per essere ancora “arte”. Oggi si può ancora chiamare “arte” roba totalmente reazionaria e inservibile come la produzione di Koons e di chi è nel cosiddetto “mercato dell’arte”. Sarebbe offensivo chiamare con lo stesso termine operazioni brillanti come quelle di Hal McGee. Per questo motivo noi chiamiamo da tempo queste operazioni con il termine “oltre-arte”, qualcosa che si sta sganciando definitivamente da quello che nel XIX secolo chiamavamo “arte” e che le avanguardie del XX secolo (dal Futurismo al Dada, da Fluxus al Situazionismo) hanno totalmente demolito.

Ma torniamo alla discussione sul Moma-Dada. Ad un certo punto è intervenuto Anthony Donovan, che, contrapponendosi alle nostre precedenti affermazioni, ha scritto: «Dada, like say the French Revolution or the Vietnam War. Dada is historically specific in the same way». È noto che questa visione di Dada (o del Futurismo) come movimenti artistici conclusi è difesa soprattutto dai collezionisti d’arte e dai docenti universitari (entrambi hanno una grande dimestichezza con le cose morte e pochissima con quelle vive). Donovan ha ricevuto argomentate risposte, ma non si è rassegnato, convinto delle proprie ragioni. Purtroppo la discussione è degenerata e si è arrivati alle solite accuse che da cento anni almeno sopportano le avanguardie: mancanza di serietà e dilettantismo. Certamente, nessun seguace di Dada (del Dada concluso e di quello ancora vivo!) avrebbe qualcosa da rispondere a queste accuse: tutti i Dada sarebbero fieri di non essere seri e di essere dei dilettanti! L’unica cosa seria è beffarsi della serietà. La discussione si è chiusa così nella reciproca incomprensione ma nella più completa soddisfazione di entrambe le parti. Chi fiero della propria serietà, chi fiero del proprio Dada. 

(Sia chiaro: che ci si possa definire Dada non è assolutamente importante. E' importante ciò che si fa, non come ci si definisce. E questo Hal McGee lo sa, il MAV lo sa. Per questo motivo si può e deve ridere di questa cosa del Dada. Fino a quando qualcuno non la prende troppo seriamente. Allora si ride con un lato del cervello, e con l'altro si fa finta di essere seri).

Le avanguardie difficilmente possono morire, perché sono delle visioni del mondo, delle filosofie di vita in grande anticipo sui tempi. Quanto di ciò che dicevano i futuristi si è oggi realizzato? Quanto di ciò che auspicava Dada è compiuto? Una minima parte, purtroppo. E per questo essere oggi futuristi e Dada ha ancora un gran senso. Per chi vuole. Per tutti gli altri, ci sono tanti altri modi per occupare le giornate.

Antonio Saccoccio

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mercoledì, ottobre 09, 2013

Disordini in Accademia: futuristi, passatisti e presentisti tra performance e vita vera

Domenica pomeriggio, quasi rissa all'Accademia di Belle Arti di Roma. Nel corso dell'evento Corpi di-segni d'arte (curato da Vitaldo Conte e con la partecipazione, tra gli altri, di Salvatore Luperto e Lamberto Pignotti) è stato presentato il cd Pulsional RU.MO.RE! (Avanguardia 21 edizioni). Sono intervenuti i curatori del progetto: Vitaldo Conte, Antonio Saccoccio, Helena Velena. I primi due hanno esposto le basi storiche e teoriche su cui si innesta il progetto, dal punto di vista poetico (V. Conte), musicale e d'avanguardia (A. Saccoccio). A questo punto è intervenuta Helena Velena, che ha contestualizzato politicamente e socialmente il fenomeno, e lo ha fatto con la solita energia fisica e ideale: ne è nato un pandemonio. Dopo circa dieci minuti un paio di persone hanno iniziato ad agitarsi più del normale, interrompendo Helena, criticandola, arrivando presto ad offenderla. A freddo, è necessario capire cosa è successo realmente. Lo scandalo non è stato tanto nei contenuti pesanti da lei proposti, perché altrettanto pesanti erano state le considerazioni di chi l'aveva preceduta. Il pubblico in queste occasioni è talmente accomodante e accomodato sulle accademiche sedioline che non si sognerebbe mai di intervenire a quel modo. A risvegliarlo è stato il tono usato da Helena, che è semplicemente il suo tono, polemico, ribelle e indignato. Ciò che ne è uscito è nella tipica tradizione d'avanguardia: il pubblico intervenuto ha chiesto "rispetto", rispetto del proprio "gusto", con puntuali richiami all'ordine, al rispetto del potere costituito, e del senso comune, sbandierando frustrazione e rabbia decennale, ignoranza senza confini, personalissimi insulti, prima timidi e via via crescenti man mano che la frustrazione e il senso di impotenza in loro aumentava. Il tutto proseguendo anche quando l'evento era finito da un pezzo. Inutile raccontare che più le proteste e gli insulti aumentavano più noi pulsionalrumoristi eravamo visibilmente soddisfatti. Sentire gente che, mentre parli d'avanguardie, difende a spada tratta Gino Paoli e Ottorino Respighi, non può far che sorridere teneramente. Sentire gente che in discorsi d'avanguardia pretende il rispetto per il pubblico fa ridere grassamente. Erano cascati in una trappola banale, il secolare scontro passatisti-futuristi, da cui per ignoranza non riuscivano ormai a tirarsi fuori (la storia, in questi casi, sarebbe davvero maestra, almeno per evitare figuracce del genere). Erano alla fine in due su cinquanta a protestare, forse tre. Abilmente chi aveva riconosciuto la dinamica si era smarcato e aveva preso le distanze. Emblematico in questo il professor Giorgio Di Genova, che si autodefiniva a quel punto "non pubblico". Ma cosa facevano gli altri spettatori? La quasi totalità era bloccata sulle sedie, non reagiva neppure come i due di cui sopra. Solo ad evento concluso arrivavano in tanti a complimentarsi per aver "finalmente ravvivato questi incontri", perché "c'è bisogno di cose come queste in questo ambiente". Questo potrebbe sembrare incoraggiante, ma purtroppo non è tutto come sembra. Come gli insulti di un passatista, per giunta ignorante, possono essere super-graditi a chi vuol portare aria nuova, i complimenti possono risultare imbarazzanti. Il motivo è semplice: la maggioranza delle persone che aveva partecipato come pubblico all'evento (e che mostrava apprezzamento per noi) aveva percepito e definito l'intervento di Helena come una "performance". Helena aveva il suo bel da fare nel ribadire: "Guardate che quella non è una performance, io sono così, parlo così, mi agito sempre così". Cosa che posso confermare, anche in un bar o un locale Helena si agita e parla a quel modo: chi sente davvero qualcosa non ha bisogno di fare una performance per essere vitale. Ma in Accademia non c'era nulla da fare. Il pubblico, costituito in prevalenza da persone avvezze ad avere a che fare con l'arte e gli artisti, aveva imprigionato la forza dell'intervento di Helena nell'ambito dell'Arte, distanziandola così dalla Vita, l'unica cosa di cui Helena (e il sottoscritto) vogliono parlare. Questo episodio la dice lunga sul livello di crisi del mondo dell'arte contemporanea. Chi vive a contatto con quel mondo non è capace più di percepire nulla di reale, di vero, di vivo e vitale. Riconduce tutto ad una categoria chiusa e morta, tenuta in vita artificialmente, con danno di tutta l'umanità. Qualcuno ha affermato anche diplomaticamente: "Bella la performance, certo i contenuti sono per me discutibili". Che? Se di una cosa non mi piacciono i contenuti, la contesto, non dico che è "bella"! Forse allora sono più vivi i passatisti che hanno protestato, insultato ed esibito volgarmente la loro ignoranza? Forse dobbiamo preferire loro? Beceri, ma ancora un po' vivi? Forse sì, forse no...
Un passo indietro nel secolo scorso. Quando futuristi e dada provocavano il pubblico nei teatri o per le strade non volevano fare "performance", volevano ricostruire il legame tra arte e vita, volevano portare la vita nel mondo morto dell'arte. Erano persone sempre performative, perché erano vive, e non lo erano solo quando erano sul palco, lo erano sempre, anche e soprattutto quando discutevano tra di loro, quando non c'era un pubblico presente. Era una "performance" il tirarsi a vicenda arance e patate in faccia? No, si voleva solo svegliare il pubblico che dormiva sulle poltrone del teatro, si voleva ristabilire il contatto vitale con il pubblico. Non si voleva essere applauditi per la performance. Questa è una degenerazione dei nostri tempi, in cui vediamo l'attore-artista che si mette una maschera e fa la propria performance simulando parti di vita, performance perfettamente ridicola perché in realtà estranea alla propria vita. La performance è  pura finzione, puro presentismo, realtà addomesticata. L'urlo della vita definito "performance" è la sconfitta dell'essere umano. Estetizzare un urlo autentico assorbendolo nella dimensione rassicurante dell'arte è come scambiare un guerriero autentico per una maschera di carnevale. L'urlo di Helena scambiato per "performance" deve farci quindi riflettere, deve metterci paura sullo stato di degrado a cui è giunta l'estetizzazione e la spettacolarizzazione di ogni aspetto della vita.
In fin dei conti i complimenti alla performance sono presentisti, tanto quanto è passatista il musicista che si alza e loda Respighi. Con la differenza che mentre l'antidoto al passatista è stato trovato da tempo (quasi tutti ormai riconoscono nel passatista ignoranza, viltà e beceraggine), quello al presentista è ancora tutto da scoprire. Il presentismo è oggi vincente, anche tra chi non è totalmente sprovveduto. Per demolire il presentismo occorre demolire la categoria dell'Arte, occorre vaporizzarla fino a dissolverla. Non c'è altra via. I presentisti tendono a recuperare all'interno dell'Arte qualsiasi cosa di minimamente fuori dall'ordinario. E se qualcosa è eccessivo per i loro gusti, allora diventa una "performance". L'urgenza della vita recuperata all'interno del rassicurante e patinato mondo dell'Arte. Nulla di più pericoloso per chi ama davvero la vita.


Vitaldo Conte, Helena Velena, Antonio Saccoccio
(Roma, Accademia di Belle Arti, 06/10/2013)



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venerdì, maggio 31, 2013

La vittoria dell'astensionismo e i sei limiti del M5S

Elezioni comunali 2013, vediamo com'è andata a finire. I partiti di centro-destra e centro-sinistra urlano all’unisono: l’unico dato significativo è il crollo del M5S. In realtà, se è vero che il M5S subisce una notevole battuta d’arresto, l’unico dato significativo appare un altro: il crollo della partecipazione al voto. In queste elezioni ci sono tanti sconfitti e un solo vincitore: l’astensione. I dati sono incontrovertibili. Basti soltanto pensare che in grandi regioni come il Lazio, l’Emilia-Romagna e la Toscana l’affluenza è scesa del 20% rispetto alle precedenti elezioni. A Roma siamo in pratica al pareggio tra votanti e astenuti. Quindi, a 3 mesi dalle elezioni politiche (che già avevano sancito la vittoria dell’astensionismo), la popolazione ha preso ancor più le distanze dalla politica dei partiti. Colpa certamente dell’accordo post-elettorale tra pd e pdl, che ha tenuto a casa chi vedeva nelle elezioni il motivo per votare a favore e soprattutto contro l’avversario politico. Ma tutto conferma una tendenza che è in atto da anni: la presa di distanza dalle istituzioni e dalla politica parlamentare a favore di aggregazioni comunitarie spontanee e non gerarchizzate.
Un discorso a parte merita l’arretramento dei consensi per il M5S. Qui le motivazioni possono essere molteplici. Le elenco e discuto in ordine di importanza:
  1. La mancanza di una chiara visione politica nel M5S, Grillo incluso. Questo deficit è venuto alla luce in modo troppo evidente nel momento in cui i neoeletti pentastellati hanno preso posto in Parlamento. In pochissimi hanno mostrato di possedere una precisa visione del mondo. E la politica non si può fare se non sai quale mondo c’è stato, quale mondo c’è oggi, quale mondo vuoi per il domani. Il programma del M5S non può essere rivoluzionario perché non si può fare la rivoluzione se non sai cosa vuoi davvero per il futuro e se ciò che vuoi per il futuro non è radicalmente in contrasto con ciò che c’è oggi. Che i politici non debbano prendere i rimborsi elettorali non è una visione del mondo. Essere per la raccolta differenziata dei rifiuti non è una visione del mondo. Queste (e altre) possono essere singole proposte, tutte frutto di una determinata ampia visione del mondo. Che manca purtroppo. Lo ribadisco: essere post-ideologici è corretto (ed è la storia che va in quella direzione per fortuna), ma essere contro qualsiasi idea politica organica è contrario al fare stesso politica. Il M5S è una delle prime manifestazioni di quella che può chiamarsi “post-democrazia delle reti” o “retarchia”, e su questo dovrà costruire la sua visione del mondo. Sprovvisti di questa consapevolezza, i poveri deputati e senatori grillini si sono lasciati fagocitare da un sistema che è strutturato esattamente sulle logiche di potere che i pentastellati (in teoria) dovrebbero demolire. Perché è accaduto questo? Perché per superare il nemico devi essere più forte e consapevole di lui. Non basta pensare di avere ragione, bisogna dimostrarlo ogni istante con convinzione e argomentazioni. Con una visione del mondo alternativa a quella oggi dominante. Parte di questa 
  2. Il fattore Grillo. La maggior parte dei voti ottenuti alle politiche erano arrivati seguendo le incendiarie esternazioni di Grillo. Se Grillo non scende in campo con quella stessa forza e continuità, gran parte dell’elettorato resta a casa. Questo è il chiaro risultato di un movimento a due teste: da una parte l’accentramento leaderistico nella figura di Grillo, dall’altra l’attivismo dei vari meet-up locali. L’aspetto davvero nuovo è la rinnovata partecipazione politica a livello locale, ma gran parte dei voti arrivano ancora grazie alla leadership old style di Grillo. Com’è normale che sia in una fase di transizione epocale come quella che stiamo vivendo: dalla piramide alle reti. Un buon 40-50% dei voti avuti alle precedenti elezioni dipendono direttamente dalla capacità di Grillo di rispondere (in quel preciso momento, che non è detto ricapiti un’altra volta) alle aspettative di una parte dell’elettorato. Questi voti dati alla persona Grillo sembrano in gran parte evaporati dopo soli 3 mesi.
  3. Né al governo, né contro il governo. Il non-accordo con il PD era strategicamente corretto: si doveva continuare ad essere contro il sistema dei partiti. Ma, essendo entrati in Parlamento, mettersi da soli all’opposizione poteva essere vincente solo per poi fare un’opposizione brillante e chiassosa. Nei primi tre mesi, invece, i risultati dell’opposizione del M5S sono stati scarsi e opachi. Niente di eclatante, e soprattutto molto meno di quello che faceva il M5S fuori dal Parlamento. Grillo ha ritenuto pericolosissimo fare un governo con il PD, probabilmente perché ha visto l’impreparazione generale delle sue truppe. Ma non ha fatto bene i conti, perché l’impreparazione era destinata ad emergere anche non entrando direttamente nel governo. Fatto sta che parte degli italiani ha percepito come inutile la presenza parlamentare grillina: non pervenuti né al governo, né all’opposizione. Persino gesti derivati da ottime e nobili intenzioni (tra tutte la famigerata rendicontazione delle spese di viaggi, pranzi, merende, etc.) è sembrata alla lunga ingenua e velleitaria, perché non accompagnata da altre iniziative politiche più consistenti. Una soluzione a questo tipo di problemi sarebbe possibile se Grillo e i grillini comprendessero che per attaccare più agevolmente il sistema non si deve perdere di vista l'ottica anti-parlamentare e post-parlamentare. Su questo punto si giocherà gran parte del futuro del M5S.
  4. La mancanza di una cultura d’avanguardia. Il M5S è un movimento che mette in discussione lo status quo. Ma il M5S non ha capito che le istituzioni tendono a funzionare come ambienti totalitari, a cui, una volta al loro interno, bisogna adattarsi. L’unica possibilità di entrare in queste istituzioni senza esserne assorbiti e quindi neutralizzati è capirne perfettamente i meccanismi che ne regolano il funzionamento e sabotarli. Per questo solo un’avanguardia ha qualche possibilità di entrare in Parlamento e detournarne le impalcature. Chi non ha nel dna le visioni e le pratiche delle avanguardie è destinato a fallire ogni qual volta prenda di mira un’istituzione statale. Solo l’avanguardia fa davvero male al sistema dominante, il resto è solletico. Tant’è che – si noti bene perché questo è davvero fondamentale – la cultura d’avanguardia è l’unica ad essere integralmente censurata dallo Stato (ad es. tutte le scuole/università e tutti i media di massa). E lo stesso Grillo viene ripreso tranquillamente da tv o giornali, fino a quando non si inventa qualcosa d’avanguardia (raramente purtroppo, perché non è quella la sua cultura): allora scatta la censura totale o la falsificazione.
  5. L’assenza di abili oratori in grado di infiammare la popolazione. Escluso Grillo, non ci sono persone in grado di improvvisare un discorso a braccio seguendo ciò che comandano cuore e cervello. Abbiamo tutti presente l’immagine di parlamentari pentastellati che leggono con imbarazzo i loro interventi alle Camere con occhi chini su fogli di carta. Così si dimostra di avere una marcia in meno, non certo in più. La cultura che viene dalla rete, per giunta, è una cultura che è, seppure in modo nuovissimo, orale. Una delle prime mosse sarà, quindi, quella di trovare almeno capigruppo al Senato e alla Camera che non siano anonimi e scialbi come gli attuali.
  6. La trasparenza che diventa micro-burocratizzazione. Dal Parlamento ai meet-up locali si registra una pericolosa tendenza: cercare di arrivare alla trasparenza attraverso una gestione burocratica di ogni aspetto del movimento (le rendicontazioni, le presenze, le votazioni online, etc.). Ciò non solo è profondamente contrario alla fluidità di cui necessitano le aggregazioni di rete, ma: a) impedisce la rapida evoluzione del movimento, in una fase in cui c’è assoluto bisogno di idee acute e individui capaci; b) allontana rapidamente le persone più brillanti, notoriamente allergiche a qualsiasi lungaggine e perdita di tempo.


Nonostante queste debolezze, il M5S resta oggi l’unica possibilità per contrastare chi detiene il potere e lo gestisce in modo tanto scriteriato. I punti a suo favore sono ancora moltissimi: l’aver riattivato la partecipazione attiva dei cittadini; l’essersi posto con chiarezza su una dimensione post-ideologica; l’aver sfruttato le potenzialità dei nuovi media partecipativi; l’aver portato concretamente un’esigenza diffusa di pulizia e onestà; l’essersi posta come dimensione concreta e attiva di quell’antipolitica che spesso può degenerare in paralisi; l’aver portato una critica decisa all’Europa della finanza; l’aver demolito la patetica e spesso criminale figura del politico-star; la volontà della maggioranza dei pentastellati di darsi da fare per il bene comune e non per i propri interessi e le proprie carriere. 

Antonio Saccoccio

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