LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

lunedì, gennaio 31, 2011

Verso la degerarchizzazione sociale

Insistiamo costantemente sulla degerarchizzazione della società. In tanti iniziano a darci ragione: le gerarchie non portano vantaggi consistenti in nessun campo sociale. In pochi però sono ottimisti come noi che sosteniamo che la degerarchizzazione è non solo auspicabile, ma anche concretamente possibile. I rapporti gerarchici sono per molti indispensabili per il mantenimento dell'ordine sociale. Non è così. Qualcuno si ostina a credere che le gerarchie servano a far funzionare al meglio istituzioni, organizzazioni, gruppi di ogni tipo. In realtà la gerarchizzazione non è il sistema più vantaggioso, è soltanto il sistema più rozzo e a cui siamo storicamente più abituati. Ad ogni modo, anche qualora l'organizzazione gerarchica potesse regalarci in linea teorica numerosi vantaggi, la necessità di abbattere le gerarchie attuali è innanzitutto motivata dal bisogno di abbattere la gerarchizzazione malata che abbiamo prodotto concretamente in secoli e secoli. Una cosa è accettare la naturalissima superiore abilità di alcuni individui in determinati campi ed affidare loro in quei campi ruoli di responsabilità, un'altra è strutturare ogni rapporto sociale su base gerarchica, indipendentemente dalla reale necessità di tali gerarchie. Il trionfo delle gerarchie ha prodotto un mondo di servi e padroni (in cui per altro anche i padroni sono sempre servi di qualcun altro). D'altra parte la gerarchia (ieròs, sacro) è etimologicamente malata. Inutile riporvi fiducia.
Ora, abbiamo più volte affermato che abbiamo segnali forti di un'inversione di rotta. Ed è questo che ci invita all'ottimismo. Due segnali in particolare: i cittadini iniziano a non stimare più i politici, gli studenti non sottostanno più ai professori. Questi due casi riguardano milioni di individui solo in Italia, centinaia di milioni in tutto il mondo. A tutto ciò si dovrebbero aggiungere anche i figli che non temono più (gli schiaffi de)i padri (ma questo discorso è più articolato e si va solo a sovrapporre parzialmente al nostro). C’è qualcosa che inizia a scricchiolare nel vecchio paradigma gerarchico e autoritario. Il desiderio di autentica libertà serpeggia inesorabilmente. Gli uomini d'avanguardia fiutano l'aria nuova, perchè adorano il profumo liberissimo degli orizzonti sconfinati. Elsa Morante nel suo prezioso Piccolo Manifesto dei Comunisti (senza classe nè partito) affermò: "In una società fondata sul Potere (come TUTTE le società finora esistite e oggi esistenti) un rivoluzionario non può fare altro che porsi (foss'anche solo) contro il Potere, affermando (coi mezzi e dentro i limiti personali, naturali e storici che gli sono concessi) la libertà dello spirito dovuta a tutti e a ciascuno".
Solo il risveglio di una cultura d’avanguardia può permetterci di decifrare l’attuale istintiva ribellione di gran parte della popolazione al modello sociale gerarchico che ha dominato incontrastato per millenni. Solo gli uomini d'avanguardia sono in grado di comprendere che la nuova rivoluzione tecnologica ha fornito finalmente gli strumenti necessari per questo tipo di ribellione. I nuovi media interattivi e partecipativi vanno a scardinare in profondità la comunicazione esclusivamente ad una direzione su cui si è da sempre retto il potere dei ceti dominanti. Le nuove generazioni, che crescono nella possibilità di questa comunicazione continua e priva di gerarchie, tendono così a non accettare tanto facilmente le gerarchie, soprattutto quando sembrano costruite artificialmente. La loro ribellione è per ora istintiva, ma se l'avanguardia saprà incoraggiarla e portarla alla luce, potrà trasformarsi in una rivoluzione consapevole senza precedenti.
Una rivoluzionaria degerarchizzazione della società è ora realmente possibile.
Chi non la sostiene è servo del potere, dell'ordine e dell'autorità.
Chi ne sente violentemente l'esigenza, ha il dovere morale di portarla avanti in ogni modo.

Antonio Saccoccio

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domenica, gennaio 23, 2011

Miguel Benasayag, Angelique Del Rey, l'elogio del conflitto e la scuola

Miguel Benasayag è certamente un'intelligenza acuta e vivace. Ma ciò che ci piace maggiormente è che la sua è un'intelligenza militante, che combatte per una visione del mondo. Benasayag è un filosofo, ma non è un filosofo che se ne sta seduto dietro la sua cattedra, è un filosofo che è sceso e scende ancora in campo concretamente, incidendo nella realtà di ogni giorno (militante guevarista, dieci anni di carcere alle spalle). Il suo testo più noto è probabilmente Elogio del conflitto, in cui ha sostenuto con radicalità che la società postmoderna ha di fatto bandito ogni idea di conflittualità. Comprendere l'importanza della componente conflittuale in un mondo che di fatto cerca di annullare ogni tentativo di porsi in opposizione del sistema (o dei sistemi) di valori dominanti, non è da tutti. Viviamo momenti in cui parlare di "conflitti" sembra essere sempre politicamente scorretto. E senza conflitto non ci può essere superamento, senza conflitto c'è il trionfo dello status quo.
Qualche giorno fa, in un intervento all'Università La Sapienza di Roma, (l'occasione era un convegno dell'ADI) Benasayag ha colto tutti di sorpresa, riducendo in cenere la pedagogia delle competenze e il costruttivismo, tanto in voga negli ultimi decenni nella pedagogia contemporanea. Scuola delle competenze e costruttivismo sono figli dell'utilitarismo contemporaneo, della deriva economicistica e producono deterritorializzazione e alienazione. Sconcerto, sbandamento, frustrazione in sala: la didattica per competenze e il costruttivismo in un'oretta scarsa passano da salvezza a rovina della scuola. I nemici non sono più il trasmissivismo e l'accumulo di conoscenze, ma il costruttivismo e la didattica per competenze. Il filosofo riesce a convincere larga parte dell'uditorio, ma non sfugge ai più attenti un uso "ad una dimensione" dei termini "competenze" e "costruttivismo", termini sicuramente sfuggenti e non da ora. Se è indubbio, infatti, che se pensati da uomini di scarso spessore i due termini sono realmente frutto di una visione tecnicamente utilitaristica e quindi poverissima della scuola (ma il discorso è noto da tempo agli spiriti illuminati, non ci vogliono certo filosofi per portarlo alla luce), non si può non notare che in altro modo la competenza e il costruttivismo possono esserei modi per liberare almeno parzialmente lo studente dall'autoritarismo, dal valutazionismo, dal rigidismo della scuola-dinosauro contemporanea. Insomma, Benasayag si scaglia (e conoscendo le sue posizioni ideologiche è comprensibile) contro competenze e costruttivismo viste come trattamento educativo dell'"uomo economico".
In realtà per noi il problema reale non è la scelta tra trasmissione o costruzione del sapere. Il problema è l'istituzione scuola concepita come luogo in cui produrre uomini regolarmente monodimensionali, i cui apprendimenti siano perfettamente misurabili per essere inseriti nella catena di montaggio dell'alienazione planetaria.
Benasayag non è un pedagogista, ma lo è la sua collaboratrice più stretta, Angelique Del Rey, che ha chiarito in un suo documento:
Una tale visione (quella del PISA e dell'approccio per competenze) definisce l'immagine di un uomo da educare, ripiegato su se stesso all'interno della nozione di competenza e ci spiega la svolta delle pedagogie attive verso il profitto e l'efficienza. L'uomo da educare è un "uomo senza qualità", sul quale applicare le competenze per il successo nella vita, tralasciando desideri, affinità elettive, tropismi e qualità intrinseche, sostituiti ad un'educazione emancipatrice che permette allo studente di essere attivo e di educarsi mentre viene educato. Si tratta di un'educazione alienante, che gli impone non solo dei contenuti e dei comportamenti normativi, ma che pretende che questi vi aderisca liberamente!
Alla luce di tutto questo, l'insegnante si chiede "Cosa devo fare allora? Se il trasmissivismo è inutile e dannoso e il costruttivismo è figlio dell'utilitarismo economicistico, cosa e come devo insegnare?".
La risposta sarebbe chiara, ma nessuno vuole farci i conti. Il problema è una scuola che vuole ridurre le differenze, non tenere in considerazione e rispettare le singole qualità, misurare ciò che sa e sa fare un ragazzo come fosse un animale da allevamento e produzione. Ecco che allora può davvero tornare utile (e al di là delle sue intenzioni) l'elogio del conflitto di Benasayag: la scuola non deve ridurre i conflitti, non deve normalizzare chi è differente, perchè eliminando le possibilità di conflitto si elimina la possibilità di produrre soluzioni alternative al sistema dominante.
E' chiaro che le pedagogie attive sono più evolute rispetto alle pedagogie passive, ma è altrettanto chiaro che le pedagogie realmente attive devono essere pedagogie libertarie, devono essere in pochi termini delle anti-pedagogie. E inoltre: non si può pretendere ad un insegnante che è servo e servile dentro di educare i giovani alla libertà. Non ci sarà nessuna teoria pedagogica in grado di rendere libero chi è abituato da sempre ad ubbidire e abbassare la testa.
Il problema non è quindi la scuola delle competenze. Il problema è la scuola come istituzione repressiva, autoritaria e reazionaria.
E allora - torniamo - cosa può fare un insegnante? L'abbiamo detto più volte e da tempo: autonomia creativa (perchè non può esistere educazione senza educazione all'autonomia), costruttivismo critico (che è altra cosa rispetto al costruttivismo modaiolo), scuola-vita.
Descolarizzare operando dentro il sistema non è possibile, ma è almeno nostro dovere sabotare in ogni modo la scolarizzazione e l'inebetimento di massa.

Antonio Saccoccio

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domenica, gennaio 09, 2011

anarchia e avanguardia: da Marinetti a Sanguineti

Il messaggio principale delle avanguardie consiste indubbiamente nel rifiuto delle idee e consuetudini ereditate dalla tradizione, giudicate incapaci di sostenere e leggere ormai la realtà contemporanea. L'avanguardista percepisce le norme, le regole e le convenzioni sociali come una gabbia insopportabile e prova in ogni modo a demolirle, introducendo elementi di disordine. E' stato così per il Futurismo, è stato così per il Dada, è stato così per il Situazionismo. Evidentemente ciò ha posto e pone costantemente le avanguardie in sintonia con l'anarchia e il pensiero anarchico.
Tra gli svariati spunti che offre un testo denso come Al di là del comunismo, Filippo Tommaso Marinetti scrisse: "L'umanità cammina verso l'individualismo anarchico, meta e sogno di ogni spirito forte"; e poco dopo: "Odiamo la caserma militarista quanto la caserma comunista. Il genio anarchico deride e spacca il carcere comunista".
La caserma e il comunismo sono gli emblemi della vita burocratizzata, che possono solo soffocare il prorompere delle forze vitali che animano gli individui.
Marinetti, nel 1920, vede nell'individualismo anarchico il destino dell'umanità.
"Non soltanto siamo più rivoluzionari di voi, socialisti ufficiali, ma siamo al di là della vostra rivoluzione. Al vostro immenso sistema di ventri comunicanti e livellati, al vostro tedioso refettorio tesserato, noi opponiamo il nostro meraviglioso paradiso anarchico di libertà assoluta arte genialità progresso eroismo fantasia entusiasmo gaiezza varietà novità velocità record".
Gli spunti anarchici sono frequenti, quindi, non solo in alcuni futuristi, ma anche nello stesso Marinetti. D'altra parte, già nel primo manifesto, non è forse anarchico "il gesto distruttore dei libertari"? E non è ancora più anarchico (e pienamente rivoluzionario) far precedere questa affermazione libertaria dalla glorificazione del patriottismo? Lo spirito scompaginatore, puramente anarchico, è proprio quello che vuole scombinare costantemente le idee più acquisite e date per buone. Gli uomini politici non potevano allora comprendere (e a volte non comprendono neppure ora) la novità assoluta di quell'accostamento. Tant'è che lo stesso FTM tornò più volte sull'argomento. Ad esempio in Democrazia Futurista, nell'illuminante paragrafo intitolato Vecchie idee a braccetto da separare:
"Il regno di questi luoghi comuni legati assurdamente insieme per l'eternità ha fatto sì che una delle frasi del primo manifesto futurista pubblicato 11 anni fa, la quale glorifica insieme il patriottismo e il gesto distruttore dei libertari, sembrò alle mentalità politiche una pazzia o un puro scherzo.
Tutti trovavano assurdo o buffo che l'idea libertaria andasse per la prima volta a braccetto con l'idea di patria. Come mai la parola patriottismo non era quel giorno accompagnata dalla sua amica monarchia d'ordine e reazionaria?"
E più in basso:
"Noi oggi separiamo l'idea di Patria dall'idea di Monarchia reazionaria e clericale. Uniamo l'idea di Patria con l'idea di Progresso audace e di democrazia rivoluzionaria, antipoliziesca"
Ecco. E' proprio la capacità di destrutturare le convinzioni e i luoghi comuni più affermati che rende le idee di avanguardia e di anarchia così strettamente legate.

D'altra parte, uno dei maggiori studiosi italiani di avanguardie, Edoardo Sanguineti, ha affermato che l'idea di anarchia è legata a quella di avanguardia:
"Le pulsioni fondamentali dell'età delle avanguardie avevano le loro radici in un'idea di anarchia"
E' poi curioso il fatto che Sanguineti sia stato uno studioso e un critico delle avanguardie, ma al tempo stesso sia stato parte importante della storia delle avanguardie. Ed è significativo che diverse volte si sia mostrato assai poco anarchico. D'altra parte lo ha dichiarato lui stesso esplicitamente di non essere un anarchico. E questo conferma la mia tesi: Sanguineti non è stato mai realmente neppure un avanguardista.

Oggi, se vogliamo essere avanguardisti non possiamo non affrontare il confronto con il pensiero anarchico. Siamo contro le Gerarchie, contro la Scuola, contro il Lavoro, contro la Cultura, contro l'Arte. Siamo futuristi e siamo dada al tempo stesso. Se qualcuno ci accusa di essere anarchici, ci sta bene. Siamo uomini e donne d'avanguardia.

Antonio Saccoccio

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