LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

mercoledì, febbraio 28, 2007

Marinetti: Contro Venezia passatista

Contro Venezia passatista
27 aprile 1910

Noi ripudiamo l'antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico.
Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell'imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo.
Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente, piaga magnifica del passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza, morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall'abitudine dei suoi piccoli commerci loschi.
Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il mare Adriatico, gran lago italiano.
Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi.
Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l'imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture.
Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna da camera ammobigliata.
L'8 luglio 1910, 800.000 foglietti contenenti questo manifesto furono lanciati dai poeti e dai pittori futuristi dall'alto della Torre dell'Orologio sulla folla che tornava dal Lido. Così cominciò la campagna che i futuristi sostengono da tre anni contro Venezia passatista.
Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo

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martedì, febbraio 20, 2007

Manifesto del Neofuturismo

N.B. questo Manifesto non ha attualmente alcun valore, se non in una prospettiva di ricostruzione storica del movimento neofuturista, dal giugno 2007 evolutosi in avanguardia net.futurista.
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Un uomo nuovo per il nuovo millennio

Da qualche anno siamo entrati in un nuovo millennio. Con grande stupore e non poca delusione abbiamo dovuto accettare che nell’inutile frenesia che anima l’uomo contemporaneo in pochi si sono lasciati affascinare da quest’evento. Eppure il semplice pensare all’anno 2000 avrebbe dovuto risvegliare il nostro animo assopito. Neppure una data tanto affascinante, mille volte evocata dalla fantasia popolare e letteraria, ha costretto l’uomo alla resa dei conti con la propria coscienza e con la propria identità. In un attimo – un solo unico istante - si sono tolti 3 nove, aggiunti 3 zeri e tutto è continuato come prima. Eppure a volte anche un evento solo esteriore come è un cambio di data potrebbe essere lo spunto per un cambiamento più consistente. Soprattutto quando, come oggi, ce n’è davvero la necessità. Ma è così l’uomo contemporaneo. Non sa più sognare. Non sa più immaginare. Non sa più creare un proprio mondo. Non sa più rigenerarsi. Per avere una visione, bisogna essere vivi.
È chiaro che l’uomo che il XX secolo ci ha consegnato è un uomo che non resisterà molto alle sfide del nuovo millennio. È un uomo spento, rassegnato e depresso. Un automa programmato per essere infelice. Non potrà ancora andare avanti per molto. Occorre – è evidente - cambiare rotta.
La gran parte degli individui oggi non vivono una vita propria. Vivono una vita indotta. Non sviluppano il proprio io. Sono totalmente schiacciati da un’omologazione massiccia, meri esecutori di un modello imposto da un super-pensiero dominante. Ed è inutile stare a sottolineare che non tutti sono omologati, che non tutti sono vittime di tale super-pensiero. Non illudiamoci: tutti ne siamo vittime. È solo una questione di misura. C’è chi è totalmente schiavo, chi lo è meno, chi infine si ribella ma finisce lo stesso risucchiato nel vortice. Nessuno si senta escluso da questo nostro discorso. Anche noi che scriviamo siamo parte del mondo che tanto condanniamo. Abbiamo però deciso di avere la forza di scrivere queste righe e lanciare con decisione l’allarme.
Oggi è socialmente improduttivo e poco utile sviluppare una propria identità, è dato per scontato che l’unica via da seguire sia conformarsi ai modelli in uso. Prendere un numeretto, mettersi in coda dietro agli altri e aspettare il proprio turno: questo è l’uomo contemporaneo. Senza possibilità di scelta. Senza via d’uscita. Senza scampo.
La cosa che angoscia maggiormente è osservare che spesso nell’individuo non è più presente neppure una scelta di convenienza. Oggi l’uomo non sceglie neppure più di conformarsi per un bieco calcolo utilitaristico. Oggi l’uomo non vede neppure più la possibilità di una scelta di questo tipo. Non sceglie neppure se conformarsi o no (sarebbe già qualcosa, sarebbe già una scelta!). È tutto dato per scontato. Prendere il numeretto, mettersi in coda e aspettare.
Ma dietro a chi ci mettiamo in coda? Chi è che seguiamo? Perché? E cosa ne sarà di noi? Cosa stiamo inseguendo?
Tutto questo non è dato chiedersi. Numeretto, in coda, attendere. Questa è la nostra esistenza. Abbiamo dovuto attendere millenni di sviluppo e progresso della nostra civiltà per questo entusiasmante epilogo!
C'è sempre un doppio modo di osservare il mondo. Con sguardo distratto e superficiale e con sguardo attento. Bene. Se noi osserviamo distrattamente la realtà che ci circonda potremmo avere l'impressione di abbondanza, ricchezza, divertimento continuo, spensieratezza. Ma se guardiamo al di là delle apparenze scopriremo che nonostante l'abbondanza, la ricchezza e il divertimento continuo ci troviamo ogni giorno a parlare con uomini tristi, rassegnati, avviliti, depressi. Uomini svuotati. Scambiano la frenesia e l’eccitazione per felicità. Il divertimento continuo è molto simile ad un rimbecillimento generale. Per quale motivo un uomo che sembra avere tutto e poter soddisfare ogni desiderio alla fine è un depresso cronico? E qui non parliamo di uomini malati, di anziani. Parliamo di giovani. Giovani e sani. E questo è davvero terribile. I giovani. Per quale motivo i nostri ragazzi sembrano sempre più annoiati e privi di vitalità? Perchè nel loro sguardo c'è stanchezza, mentre dovrebbe esserci il fuoco ardente della giovinezza? Dov’è finita la fantasia? dov’è l’immaginazione? dove i sogni?
Se i nostri giovani sono spenti, il nostro futuro è terribilmente buio.
Tutto questo non possiamo più accettarlo. Crediamo ormai di aver raggiunto il punto più basso di una spaventosa parabola ultradecadente. Probabilmente non si era mai percepita nella storia dell’umanità tanta desolazione. Per fortuna si avvertono sparsi segnali di sgomento, di preoccupazione. C’è qualcuno che, finalmente, lancia segnali di allarme. E noi siamo tra questi. Ma noi non vogliamo solo lanciare segnali di allarme, noi vogliamo fornire a tutti una via d’uscita da questa tremenda situazione. Ed è per questo, per svegliare le nostre anime e le nostre coscienze, che oggi noi lanciamo con enorme convinzione questo nostro Manifesto.

Manifesto del Neofuturismo

1. Noi vogliamo liberare l’uomo. Vogliamo scuotere l’animo di chi è schiavo dell’omologazione e inconsapevole di quanto sta subendo, e spingerlo ad intraprendere la strada per l’affermazione della propria individualità.
2. Noi siamo per riscoprire l’unicità di ogni individuo. Oggi ogni uomo crede di lottare da solo per la conquista di qualcosa. In realtà tutti gli uomini lottano gli uni contro gli altri per gli stessi obiettivi imposti dall’alto. Potremmo avere tanti uomini con tanti sogni (ognuno il proprio!); abbiamo invece un unico sogno (non nostro!) inseguito disperatamente da tutti gli uomini. Potremmo avere una vita serena ed entusiasmante; e invece annaspiamo in un mare di noia e frustrazione.
3. Ogni uomo ha la propria personalità, le proprie qualità, le proprie bellezze. Noi vogliamo che ognuno scopra la bellezza della propria esistenza. Che ognuno diventi se stesso e non un calco di altri. Ogni uomo è creatore.
4. L’uomo del passato viene creato dalla società, l’uomo del futuro si crea da sé.
5. Noi vogliamo vincere una scommessa con tutti gli uomini. Dobbiamo tornare a pensare ai nobili valori che fanno grande l’uomo: coraggio, spontaneità, audacia, vitalità, energia, generosità, dinamismo, volontà. E dobbiamo pensare a tutte le belle idee per cui si muore: amicizia, amore e alti ideali.
6. Noi vogliamo un uomo che sappia reagire alle sofferenze e alle avversità ritrovando fiducia nei propri mezzi, forza di volontà e spirito di sacrificio.
7. Noi non vogliamo uomini che accettino supinamente o passivamente ogni situazione subendola senza discutere. Vogliamo uomini che criticano, polemizzano, mettono in dubbio. Nè pecore, né automi. Vogliamo uomini.
8. Noi amiamo l'arte in tutte le sue espressioni. L'arte è creazione, quindi l'arte è libertà. L’uomo attraverso l’arte si autorappresenterà e autoaffermerà.
9. Le possibilità offerte alla creazione e all’arte sono lo specchio della società. Negli ultimi decenni l’arte è stata confinata in ridicoli circoli autoreferenziali e allontanata totalmente dalla società. Una società in cui l’arte sia in questa posizione è una società in cui qualsiasi margine di rinnovamento è a priori precluso.
10. Noi vogliamo una società aperta e dinamica. Una società in continua evoluzione.
11. Noi condanniamo senza mezzi termini tutti i comportamenti vili, disonesti, falsi e meschini. E avverseremo sempre ogni mentalità utilitaristica e opportunistica.
12. Noi vogliamo essere liberi di esprimerci, liberi di parlare. Ed è per questo che non accettiamo la dittatura del politicamente corretto, moderna forma di censura-dittatura per intrappolare il pensiero e la creatività individuale e costringerci ad accettare il super-modello imposto.
13. La nostra fiducia nell’uomo ci impone di avere fiducia anche nei prodotti dell’uomo. Ma ricordiamo sempre di non cedere all’idolatria della tecnica. L’uomo deve dominare totalmente i suoi prodotti, non adorarli in modo insensato. Tenendo conto di questa imprescindibile premessa, l’uomo deve vedere nelle innovazioni tecniche delle opportunità, non dei prodotti di cui essere spaventati.
14. Noi condanniamo i media monodirezionali, che si sono rivelati strumenti inadatti allo sviluppo creativo dell’uomo contemporaneo. Hanno paralizzato e anestetizzato l’uomo privandolo delle possibilità di esprimersi e riducendolo a passivo ricettore di pensieri prefabbricati. I media tradizionali sono lo strumento attraverso il quale si è realizzata la deprimente omologazione che noi stiamo denunciando. Ma il futuro, fortunatamente, è un altro. E’ proprio il nuovo millennio che ci sta offrendo una possibilità per uscire da questo incubo. I nuovi media partecipativi permettono al singolo individuo di essere coautore e partecipe del messaggio e della creazione di nuove idee. Il fruitore ha quindi la possibilità di uscire dal suo ruolo passivo e diventare autore, creatore e comunicatore. Sappiate che le idee che state leggendo nascono sul web e che questo Manifesto verrà lanciato sul web e avrà il web come principale mezzo di diffusione.

Con questo Manifesto noi proclamiamo la nascita dell’uomo del terzo millennio. Con questo Manifesto vogliamo esaltare la nostra fiducia nelle possibilità dell’uomo. Le potenzialità dell’uomo sono infinite. Volgete lo sguardo attorno a voi: tutto quello che vedete l’ha creato l’uomo, l’abbiamo creato noi. Non ci sono limiti alle nostre facoltà creative. Rigeneriamo le nostre vite e creeremo un uomo nuovo per il nuovo millennio.

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domenica, febbraio 11, 2007

Papini: Contro Roma e contro Benedetto Croce

Il 21 febbraio del 1913, Giovanni Papini, ormai aderente al movimento futurista, pronunciò al teatro Costanzi un discorso destinato a passare alla storia. Fu stampato inizialmente nella rivista fiorentina "Lacerba", quindi in foglio volante a cura del Movimento Futurista con un titolo emblematico: "Contro Roma e contro Benedetto Croce".
Analizziamo il discorso.
Dopo una prima pagina in cui Papini si presenta nel nuovo ruolo di futurista, viene subito presa di mira Roma nel suo complesso. E sono probabilmente le parole più dure rivolte contro la capitale mai pronunciate.
"Roma è il simbolo maggiore di quel passatismo storico, letterario e politico che ha sempre adulterato la vita più originale d'Italia".
[...]
"Roma è stata grande colle armi e coll'amministrazione e mai colle arti e col pensiero. E' stata una bella e ricca città ma sempre a spese dei vicini e dei lontani".
[...]
"Quale è il grande artista, il grande poeta che qui sia veramente nato e fiorito? Io non trovo, cercando bene, che il dolce Metastasio, lo spiritoso Belli, il sonante Cossa - tutta gente di second'ordine, e tutti e tre, meno il secondo, più letterati che poeti".
[...]
"Chi mi darà torto se dichiaro che Roma è stata sempre, spiritualmente parlando, una mantenuta?
Questa città ch'è tutto passato nelle sue rovine, nelle sue piazze, nelle sue chiese; questa città saccheggiatrice che attira come una puttana e attacca ai suoi amanti la peste dell'archelogismo cronico, è il simbolo pericoloso di tutto quello che ostacola in Italia il sorgere di una mentalità nuova e originale".
In seguito Papini passa ad attaccare la religione e la filosofia. Le parole contro Benedetto Croce sono di una virulenza oggi difficilmente immaginabile. Il disprezzo per il filosofo è totale.
"Il caporione di questo filosofismo è quel Benedetto Croce il quale s'è fatto un gran nome in Italia, tra gli studenti, i professori di scuole medie e i giornalisti delle classi medie, prima come erudito eppoi come abile restauratore dell'hegelismo berlinese e napoletano.
Questo padreterno milionario, senatore per censo, grand'uomo per volontà propria e per grazie della generale pecoraggine ed asinaggine, ha sentito il bisogno di dare all'Italia un sistema, una filosofia, una disciplina, una critica. Questo insigne maestro di color che non sanno... "
Ma la parte più interessante del discorso, quella che non si può anche oggi non amare, è costituita dal paragrafo conclusivo. Sono parole che suonano modernissime, sono parole neofuturiste.
"E' tempo che si alzi l'uomo solo, l'uomo che sa camminare da sè, l'uomo che non ha bisogno di promesse e di conforti - e si levi di torno tutti i sagrestani dei diversi assoluti"
[...]
"Il dovere dell'uomo è quello di allargare, elevare, di arricchire, di migliorare quest'io che è la nostra sola ricchezza e la nostra sola speranza. Noi dovremmo tuti diventare più intelligenti, più sensibili, più personali - cioè, in una parola, più geniali. Ma per noi la massima manifestazione del genio è l'arte e perciò desideriamo soprattutto che vivano e vincano nel mondo artisti e poeti. Ma una mentalità, quale l'abbiamo descritta, è l'antitesi più cruda di questa aspirazione. Essa valuta più il cittadino che l'individuo; più l'impiegato che il vagabondo; più il ragionatore che il lirico; più l'obbediente che il ribelle; più l'erudito che il creatore; più il tradizionale che il novatore. Essa affoga l'io nel tutto; l'individuo nella società; il capriccioso nella mediocrità; lo spirito libero nell'uniformità della legge universale".
[...]
"Noi vogliamo invece preparare in Italia l'avvento di quest'uomo nuovo il quale non abbia bisogno di grucce e di consolazioni, che non si spaventi del nulla e dei cieli vuoti; che aspiri alla creazione e non alla ripetizione, alla novità e non all'archelogia, alla poesia libera e pazza invece che alla polverosa pedanteria dei condensatori di vuoto. [...] Un uomo che dalla tragica disperazione di questa solitudine sappia trarre tanta forza da vincere coll'arte il doloro della sua anima e colla libertà la piccolezza dei suoi prossimi".
[...]
"La cultura italiana è tremendamente decrepita e professorale; bisogna uscire da questo mare morto della contemplazione, adorazione e imitazione del passato se non vogliamo diventare davvero il popolo più imbecille del mondo".

Nel 1913 queste parole potevano sembrare assurde. Erano in realtà profetiche.
Oggi non abbiamo scelta. O rinnoviamo l'uomo o non avremo futuro.

Antonio S.

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martedì, febbraio 06, 2007

Mircea Eliade e Giovanni Papini

Voglio riportarvi alcune parole del grande studioso rumeno Mircea Eliade (1907 -1986). Sono parole tratte da "L'isola di Euthanasius. Scritti letterari.", parole dedicate a Giovanni Papini.
"Confesso d'aver letto ciascuno dei 30 volumi di Papini almeno tre volte (e lo confesso pur sapendo che certi idioti di spirito torneranno a gridare al mio "papinismo"). Continuo ad amare tutto quanto Papini, così com'è. Credo che non vi sia miglior elogio che si possa fare a uno scrittore che quello di confessare d'amarlo interamente anche se da lui ci separano le idee, il temperamento e i princìpi religiosi o morali. Dietro quei 30 volumi c'è un uomo maledettamente vivo e integro. Le migliaia di libri che ha letto non l'hanno cambiato. Le idee che ha promosso e abbandonato una dopo l'altra non l'hanno inaridito. La vastità della sua opera non è riuscita a bloccarlo, a paralizzarlo, a consegnarlo completamente alla storia morta. Nessuno nel nostro secolo, neppure André Gide, ha affrontato tante esperienze e lottato su tanti fronti. E mentre Gide non poteva mai astenersi da quel concetto di malintesa "gratuità", Papini si immedesimava tutto in quello che faceva al momento. Amava e odiava con passione, con ogni fibra del suo corpo, a riprova di una vitalità e di uno spessore spirituale rari. Oggi che un'intera classe di uomini pratica il compromesso per paura di esporsi, l'esempio di Papini può ridiventare attuale. E' un uomo che non si vergogna dei suoi errori. Un vero segno del genio. Solo gli sterili e i mediocri si preoccupano della perfetta coerenza dei propri pensieri, e sono ossessionati dalla paura di sbagliare. Papini ha sbagliato, si è furiosamente contraddetto e compromesso. Eppure della sua opera è rimasto più di ogni "opera" perfettamente delineata, messa a punto e corretta dalla prima all'ultima pagina".
Sono parole davvero profonde. Chiunque abbia letto Papini con animo puro e libero da pregiudizi non può non convenire con Mircea Eliade. Papini è stato probabilmente l'unico spirito autenticamente geniale del nostro Novecento letterario. Uno spirito talmente superiore che non si preoccupava minimamente del giudizio degli altri. Ascoltava soltanto se stesso, solo quello che usciva prepotentemente dal suo animo. E' quindi chiaro il motivo del suo grande interesse per Dante e Michelangelo. Probabilmente solo questi grandi artisti riuscivano a suscitare ammirazione in un animo grande come quello di Papini.
Peccato che in pochi dispongano di un animo altrettanto grande per comprendere Papini. Peccato che in pochi possano oggi nutrirsi della sua opera.
In un mondo in cui regnano viltà e opportunismo uno spirito come quello di Giovanni Papini è assolutamente da censurare.
Se oggi nascesse qualche Papini, il nostro mondo non lo lascerebbe neppure vivere: lo ucciderebbe in fasce.
Tanta è la paura di un uomo vero.
Antonio Saccoccio

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sabato, febbraio 03, 2007

Marcuse e la funzione dell'arte nella società moderna

Herbert Marcuse (1898-1979) è un autore dal destino assai curioso. Fu uno dei punti forti della contestazione degli anni '60, ma la sua fama sembra già da qualche lustro essersi appannata.
In realtà Marcuse fu uno dei massimi rappresentanti della Scuola di Francoforte e la rilettura di molte delle sue opere può essere molto utile al pensiero contemporaneo.
In "Eros e Civiltà" (1955), forse il suo capolavoro, Marcuse smachera, partendo dal pensiero di Freud, il modo in cui la società ha represso l'individuo. La società moderna, con il suo "principio di prestazione", ha privilegiato gli obblighi e i doveri lavorativi, annientando la sfera del piacere e della felicità. In questo discorso si inserisce la mortificazione, nella società moderna, dell'arte. L'immaginazione è in realtà fondamentale per permettere all'uomo di distaccarsi dall'efficientismo e di valorizzare la propria naturale propensione al piacere.

Ne "L'uomo ad una dimensione" (1964) la società appare ormai totalitaria, impone ogni cosa all'individuo massificato. Anche le classi tradizionalmente all'opposizione, come la classe operaia, sono state fagocitate da questo sistema. In questo modello la vita dell'uomo si riduce soltanto al bisogno di produrre e consumare. La libertà è massima, purchè sia inoffensiva e non avanzi critiche al cuore del sistema. "Le persone si riconoscono nelle loro merci, trovano la loro anima nella loro automobile, nel giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due piani, nell'attrezzatura della cucina".
E la via d'uscita da questa situazione? Rispetto ad Eros e civiltà, in cui si dava grande importanza alle capacità creative dell'uomo, in quest'opera la via d'uscita è meno ispirata e per questo meno interessante. Marcuse immagina che a compiere la contestazione del sistema siano gli emarginati, gli sfruttati, i reietti della società.
Il Marcuse più attuale resta quindi quello condensato nell'espressione "l'immaginazione al potere". La filosofia deve appellarsi all'immaginazione, unico strumento capace di comprendere a fondo la realtà.

L’ultima opera di Marcuse ha per titolo nell’edizione italiana La dimensione estetica e nell’edizione tedesca Die Permanenz der Kunst, "La permanenza dell’arte", vista come dimensione fondamentale della convivenza sociale. E qui non possiamo non ricordare una delle più audaci espressioni del filosofo, quella "società come opera d’arte", che basterebbe da sola a rendere attraente l'intera sua opera.
A quasi 30 anni dalla morte di Marcuse, a noi resta proprio quest'eredità: l'idea dell'immaginazione e dell'arte capaci di liberare l'uomo dall'invadenza della pressione sociale. Il Neofuturismo è perfettamente in linea con queste posizioni.
Antonio S.

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