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venerdì, novembre 11, 2005

Sulla morte

Non credo davvero che si debba aver timore della morte. Morire è come nascere. E’ una delle cose più naturali che c’è a questo mondo. Possibile che ancora non abbiamo fatto i conti con un qualcosa che accompagna da sempre l’uomo?

Il grande Seneca, uno degli uomini più saggi di tutti i tempi, in diversi suoi scritti parla della morte e del rapporto che l’uomo ha con la morte.
In Epistulae ad Lucilium, 99 Seneca affronta un tema delicato: il momento in cui un uomo perde un proprio caro. Il nostro filosofo prende in esame le diverse maniere di comportarsi dopo un lutto. Tanta è la profondità delle sue affermazioni che mi sembra doveroso riportarvi alcuni dei passi tra i più convincenti e illuminanti.

“Quod damnorum omnium maximum est, si amicum perdidisses, danda opera erat ut magis gauderes quod habueras quam maereres quod amiseras”
Se tu avessi perduto un amico, la qual cosa è la perdita più grande, avresti dovuto più gioire per averlo avuto (come amico) che non affliggerti per averlo perduto.

Seneca ci sta dicendo: “Siete matti? Vi lamentate perché è morto un amico? Pensate piuttosto alla fortuna che avete avuto ad averlo, visto che l’amicizia è una delle cose più rare e belle che vi possono capitare.”
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“Magna pars ex iis quos amavimus, licet ipsos casus abstulerit, apud nos manet”
La parte più importante di coloro che abbiamo amato, anche se la sorte ce li ha tolti, rimane con noi”

Questo è un avvertimento per tutti. Non disperiamoci, perché l’amore per una persona non cessa nel momento della sua morte. Rimane per sempre con noi. L’amore è eterno e la morte non ce lo può togliere in alcun modo.
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“Omnis eadem condicio devinxit: cui nasci contigit mori restat”
Una medesima condizione ci ha avvinto: a chi è toccato in sorte di nascere, non resta che morire.

“Nihil cuiquam nisi mors certum est”
Nessuno ha altra certezza se non la morte.

Quindi - aggiungo io - lamentarsi della morte, significa lamentarsi della vita stessa.

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Nella lettera 101 Seneca aggiunge un altro argomento di grande forza.

“Excutienda vitae cupido est discendumque nihil interesse quando patiaris quod quandoque patiendum est; quam bene vivas referre, non quam diu; saepe autem in hoc esse bene, ne diu.”
Bisogna scuotere da noi la brama di vivere e imparare che non ha importanza in quale momento si debba subire ciò che una volta o l’altra si deve subire; importa quanto tu viva nel bene, non quanto a lungo; spesso in verità in questo consiste il bene, non nel vivere a lungo.

Come dare torto a Seneca? Perché questo insensato e morboso attaccamento alla vita? Il materialismo ci ha davvero tolto ogni minima capacità di ragionare.

Antonio Saccoccio

2 Comments:

At 12 novembre, 2005 17:23, Anonymous Anonimo said...

Ciao Antonio,
sono persa nella foresta del postmodernismo russo per il mio lavoro..anche se taccio rifletto e spero di riprendere la discussione. Mi sembra, comunque, che in Italia si sia preso questo parolone con il giusto peso..nella sua non troppa consistenza, tra le sue maglie fuori misura...pensieri di chi guarda dall'altrove. Sulla morte magari un'altra volta
A presto
Laura

 
At 13 novembre, 2005 19:32, Blogger Antonio Saccoccio said...

Beh... allora aspetto di conoscere il tuo parere sul postmoderno. Ci stavo riflettendo anch'io ultimamente.
ciao e a presto
Antonio

 

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