Manifesti futuristi e net.futuristi alla mostra mercato di Vitarte (14-16 marzo 2009)
In
occasione dell’evento “Ad Futurum POST. Futurismo - Net.Futurismo” in programma
a Viterbo come evento collaterale all’interno di Vitarte (14-16 marxo 2009), saranno esposti
alcuni manifesti futuristi originali, gentilmente concessi da Francesca Barbi
Marinetti, nipote del fondatore del Futurismo, che sarà presente in fiera nel
pomeriggio di sabato per un breve incontro dibattito sul Futurismo. I manifesti
in esposizione, selezionati dalla stessa Francesca Barbi Marinetti e da Antonio
Saccoccio, sono cinque - Manifesto di Fondazione (Marinetti, 1909), Manifesto
tecnico della letteratura futurista (Marinetti, 1912), L’antitradition
futuriste (Apollinaire, 1913), Il Tattilismo (Marinetti, 1921), Manifesto
futurista sulla cravatta italiana (Di Bosso, Scurto, 1933) - e intendono
rappresentare la varietà della produzione futurista in questo particolare
genere letterario. Il manifesto di fondazione (20 febbraio 1909) non poteva
mancare all’appello, data la sua importanza indiscutibile per l’arte
d’avanguardia italiana ed europea. Con il primo manifesto di Marinetti si
gettano tutte le basi dell’avventura futurista, che si esaurirà solo con la
morte del suo fondatore. L’audacia, il coraggio, la ribellione, la lotta
all’accademismo, al moralismo e all’utilitarismo, il gesto distruttore dei
libertari: sono parole che ancora oggi, ad un secolo di distanza, suonano
modernissime. Durante i 35 anni in cui il Futurismo fu attivo, i manifesti
prodotti furono centinaia e si occuparono di tutte le arti e dei più svariati
campi. Fu senza dubbio Filippo Tommaso Marinetti il più dotato in quella che
lui stesso definì “l’arte di far manifesti”. Molti manifesti firmati da altri
futuristi furono integrati o corretti dal fondatore (notissimo il caso del Manifesto dell’architettura di
Sant’Elia). “Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell'Arte!”: questa è una
delle affermazioni più audaci contenute nel Manifesto
tecnico della letteratura futurista, che fu di un’importanza fondamentale
nella storia del Futurismo e della letteratura italiana in generale. Tra le
altre cose si proclamava la distruzione della sintassi e l’abolizione della
punteggiatura, principi che influenzarono molti tra i più grandi poeti e
prosatori italiani, da Ungaretti a D’Annunzio. Un caso a parte è rappresentato
da L’antitradition Futuriste,
manifesto scritto in francese (ma prontamente tradotto in italiano e pubblicato
su Lacerba) da Guillaume Apollinaire nel 1913. Questo testo evidenzia non solo
la penetrazione del Futurismo anche in altri paesi europei (e soprattutto in
Francia, che era stata teatro dell’iniziale esplosione nel febbraio 1909), ma
anche la varietà formale con cui potevano presentarsi i manifesti futuristi. Si
tratta in realtà di un manifesto-sintesi, che presenta in forma schematica una
doppia suddivisione antitetica, la prima tra “distruzione” e “costruzione”,
l’altra fra “merda” e “rose” da distribuire a chi, per il poeta francese, le
merita. Il Tattilismo è un manifesto
scritto da Marinetti nel 1921. Probabilmente il fondatore del Futurismo elaborò
l’idea insieme a Benedetta Cappa (che a quel tempo ancora non era sua moglie),
anche se la questione resta ancora oggi piuttosto controversa. Di fatto si
tratta di un manifesto “atipico” nella produzione di Marinetti, poiché vi
compaiono temi normalmente a lui estranei, come questo accorato e significativo
invito: “Date la pienezza e la bellezza totale a queste due manifestazioni
essenziali della vita: l’Amore e l’Amicizia”. Conclude la serie il Manifesto sulla cravatta italiana,
scritto negli anni Trenta da due futuristi “minori”: Renato Di Bosso e Ignazio
Scurto. Dopo quasi 25 anni dal primo manifesto, il Futurismo riesce a produrre
ancora idee originalissime, come la cosiddetta “anticravatta di metallo
leggerissimo lucente duraturo”. Marinetti è ormai Accademico d’Italia, la sua
carica rivoluzionaria è a detta di molti perduta, ma manifesti come questo
confermano che la polemica contro la cultura borghese è ancora vivace. “Sono
ridicoli quei giovinetti e quei ragazzi incravattati come diplomatici o come
notai accidiosi”.
Antonio Saccoccio
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