LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

mercoledì, ottobre 27, 2010

Fofi e Barilli sul Dams: avere ragione per avere torto

Sono passati appena una decina di giorni dal botta e risposta tra Goffredo Fofi e Renato Barilli sulle pagine dell’Unità. Oggetto del contendere: il Dams (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo), nato ormai 40 anni fa a Bologna.

Fofi lo ha attaccato, Barilli lo ha difeso. Hanno ragione entrambi. Hanno torto entrambi.
Per spiegarvelo vediamo prima quali carte hanno messo sul tavolo i due.

Goffredo Fofi, nel suo articolo del 17 ottobre, ha messo in campo un doppio capo d’accusa.
Innanzitutto ha sostenuto che “oggi i Dams sono una delle più attive fabbriche di disoccupati o precari. Insomma, dopo aver frequentato il Dams non si trova lavoro.

Ma la sua accusa più pesante è un'altra: i laureati del Dams sono “schiavi delle ultime mode, hanno gusti “barbarici” che non vanno oltre la superficie del vistoso e del finto-nuovo. Una sottocultura imbarazzante e deprimente, di cui ritengo sia responsabile un ceto pedagogico che ha semplicemente sostituito alle pedanteria dei vecchi professori di estetica una involuta ma “artistica” allegria cresciuta su se stessa, figlia di quei teorici dei Settanta che esaltavano il nuovo e si avvoltolavano fuori sincrono nelle proprie chiacchiere”.

Barilli ha replicato immediatamente il giorno dopo.

Alla prima accusa ha replicato seccamente: “È nata l’accusa che un tale corso fosse una fabbrica di disoccupati, ma le statistiche lo smentiscono, i disoccupati si trovano piuttosto tra i normali laureati in lettere, per i quali si danno solo i magri sbocchi dell’insegnamento medio, mentre il damsiani rispondono in parte allo scopo per cui sono stati concepiti, trovano posto, per esempio, nelle emittenti televisive, o in biblioteche e centri civici e uffici promozionali di mostre”.

All’accusa più pesante, quella di aver prodotto una “sottocultura imbarazzante e deprimente”, Barilli ha ben chiarito che “le ragioni di fondo che hanno ispirato questo corso sono validissime, e dovrebbero essere assunte dall’intero sistema scolastico nostrano, nei settori umanistici. Era il tentativo di correggere il tradizionale e pesante primato assegnato alle «lettere» di cui si fregiano ancor oggi le Facoltà dei nostri Atenei, accordando ben poco spazio alle forme espressive non-verbali, e appunto nella sigla di quel corso di laurea si manifestava una volontà di riscatto, "A" stava per arti visive, "M" per musica e "S" per spettacolo, poi subito articolato in teatro e cinema".

Ecco le posizioni dei due. Ora vediamo perché pur avendo ragione hanno torto entrambi.

Fofi sicuramente commette un autogoal quando per attaccare il Dams attacca la mancanza di opportunità lavorative che quel corso di studi offre. E sbaglia per due motivi. Innanzitutto perché Barilli ha gioco facile nel dimostrargli il contrario (e il confronto con i laureati in lettere non ammette repliche). E poi perché questa visione strettamente utilitaristica dello studio (è sbagliato perché non produce lavoro) mal si accorda con il suo successivo attacco alla cultura del trio Berlusconi-Bondi-Tremonti.

Il punto forte dell’articolo di Fofi (ed è di questo che vogliamo e dobbiamo parlare) sta invece nel suo infiammato attacco all’inconsistenza media del laureato al Dams. Fofi quando sostiene che la “pedanteria dei vecchi professori di estetica” è stata sostituita da “una involuta ma “artistica” allegria cresciuta su se stessa”, compie un’analisi corretta. Comprende - per dirla in termini avanguardistici - che alla pedanteria passatista si è sostituito il vuoto cazzeggio presentista. Peccato che poi non riesca nel passo successivo. Sbaglia infatti ancora quando con disprezzo accusa i laureati del Dams di “sottocultura”, riprendendo quel lessico reazionario tipico di un mondo per fortuna tramontato. Non comprende che proprio quell’essere “barbarici” – come acutamente nota – può costituire la miccia per far esplodere la paralisi intellettuale contemporanea. Fofi dà l’impressione di voler risolvere tutto ritornando indietro, mentre in realtà il passo compiuto dal Dams è corretto, anche se incompleto. Il perché inizia a spiegarlo Renato Barilli, ma purtroppo neppure lui arriva fino in fondo.

La grande innovazione del Dams è realmente quella di aver concesso spazio finalmente alle “forme espressive non-verbali”. Insomma, negli anni Settanta era finalmente arrivato il momento di concedere spazio al cinema, alla fotografia, alla musica, al teatro e allo spettacolo. La dittatura tipografica era finita. E il Dams in questo è stato fondamentale.

Ma cosa è rimasto incompiuto? Perché i laureati del Dams così spesso cedono alle mode presentiste, dando prova di mancanza di pieno senso critico?

È semplice. Perché molto spesso il Dams è diventato il rifugio degli studenti amanti delle Arti, ma nemici delle Lettere (sempre se vogliamo ancora usare questi termini). Il paradigma non-verbale non deve sostituire, ma deve affiancare quello verbale se vogliamo avere uomini multidimensionali. Se l’uomo tipografico ha dei limiti, non dobbiamo dimenticarne le qualità: capacità di analisi e di critica indubbiamente nascono e si sviluppano con l’esercizio della parola e soprattutto della scrittura. Ecco, troppo spesso al Dams questi aspetti non vengono sufficientemente curati (colpa di docenti limitati o di studenti che rifiutano certi studi? colpe da dividere, pensiamo). Il risultato è la produzione di uomini monodimensionali, proprio come quelli prodotti (per motivi opposti) dalla vecchia facoltà di Lettere (ma si potrebbe dire la stessa cosa delle facoltà scientifiche).

La vera grande critica non è quindi al Dams, ma al sistema universitario in generale. Il vero uomo multidimensionale, che sarà l’unico in grado di affrontare le sfide di questo secolo, dovrà essere un individuo dalla formazione per niente settoriale, per nulla precocemente specializzata. La specializzazione serve assolutamente, ma per avere pieno senso deve inserirsi in una visione globale del mondo.

In questo contesto anche le accuse di Fofi alle “malaugurate “scienze della comunicazione”, sorelle delle altrettanto discutibili “scienze della formazione” cadono. Conosciamo bene i frutti poverissimi delle scienze della comunicazione e delle scienze della formazione, ma il problema non è costituito da quelle discipline (che tanta importanza hanno invece nella comprensione dei problemi della contemporaneità). Il problema è costituito dal fatto che il laureato medio in scienze della comunicazione o della formazione ha una formazione (!) limitata, circoscritta, che non gli permette uno sguardo d’insieme sul mondo. E questo è il limite, l’enorme limite di queste e altre facoltà: formare individui monodimensionali, a cui sfugge perennemente la complessità della realtà.

Qui si dovrebbe registrare non il fallimento del Dams, ma il fallimento di tutto il modello formativo universitario esistente. Un modello rigidissimo, compartimentato, asfittico. Un modello che produce uomini monodimensionali. E l’individuo monodimensionale è lì che è parte dell’ingranaggio. Schiavo del sistema, non ne comprende il funzionamento. Crede di capire anche qualcosa nel settore di sua competenza, ma non si accorge che sta agendo solo su un piccolo ingranaggio, non sul meccanismo che regola l’intero sistema. Se avesse visione multidimensionale, cercherebbe ad esempio di mettere in crisi il sistema contemporaneo. Farebbe in questo modo avanguardia

Occorre radicalmente smettere di parlare di arte e cultura in termini fumosi e per giunta autoreferenziali. L’Arte e la Cultura non esistono. E quindi non può esistere una sotto-arte e sotto-cultura.

Ci si preoccupi della formazione multidimensionale dell’individuo contemporaneo, e non della difesa di una determinata cultura in cui ci si vuole a tutti i costi riconoscere. Non serve un ritorno ai tempi che furono, ma una comprensione piena dei tempi che sono. Non occorre la restaurazione, ma una nuova avanguardia.

Antonio Saccoccio

Etichette: , , , , , , , , , ,

5 Comments:

At 27 ottobre, 2010 23:16, Anonymous francesco said...

http://www.youtube.com/watch?v=Kbco9ULjl5w

Fofi ad Otranto

 
At 05 novembre, 2010 18:49, Blogger Antonio Saccoccio said...

grazie del link Francesco. Alla prox faccio Fofiani contro Netfuturisti ad Otranto? ;)

 
At 08 dicembre, 2010 00:25, Blogger Antonella Da Ruos said...

Grazie per l'analisi fatta, lucida e chiara...Ho letto a proposito della polemica solo ieri e, purtroppo, non riesco ad avere accesso agli articoli originali...Per caso, ne avresti una copia?In modo che possa leggerli e analizzarli con tranquillita'?Grazie!!!
Concordo sulla necessita' di individui "multidimesionali"...Credo che il DAMS mi abbia dato (o abbia fatto venire alla luce) la capacita' di vedere le cose secondo diverse prospettive, di considerare quello che non si vede o non si dice...D'altra parte, il fatto di frequentare persone provenienti d'altri ambiti di studio (pedagogia, sociologia, statistica, lettere, lingue etc.) mi e' stato utile per trovare nessi, relazioni, creare un sistema di reti mentali, umane e professionali...il cammino e' appena iniziato e c'e' ancora molto da fare....
Grazie ancora!
Antonella

 
At 08 dicembre, 2010 09:45, Blogger Antonio Saccoccio said...

ciao Antonella, contento che tu abbia capito il senso del mio post.
Purtroppo hanno tolto gli articoli dal sito dell'Unità, chissà perchè...
Io ne ho copia salvata fortunatamente sul mio pc. Se mi scrivi a questo indirizzo info@netfuturismo.it te ne mando una copia.
ciao e ad futurum
Antonio

 
At 23 gennaio, 2011 02:29, Blogger la cessa della classe said...

arrivo qui spinta da una battuta del "film"di albanese. fare il dams mi ha fatto male...ma non ci riesco ancora, non ci riesco proprio a considerarmi più inconsistente di un altro laureato.la mia sofferenza è cominciata già a metà corso, forse prima: consapevole dell'impossibilità di uno sbocco professionale ma incerta su se e come cambiare ho perseverato.ho preso la laurea, non con il massimo dei voti (però a ingegneria a roma 3 davano 11 punti, al dams-lettere 6),con un relatore un po' scemo (regista nel tempo libero) che però in effetti è stimato da molti dei miei colleghi. al dams (10 anni fa)ho visto molti film vecchi, ho incontrato forme di teatro avanguardistiche che si fermavano al 1945. poco o nulla del "finto nuovo" di cui parla fofi, o anche del vero nuovo.tutto molto teorico...non ero portata per le materie scientifiche, volevo fare qualcosa che mi piacesse, ma sul libretto orientativo ho letto anche di presunti sbocchi professionali. al dams ho imparato mole cose, ma soprattutto dai libri. non dai docenti in gran parte modaioli, superficiali cultori della "comunicazione" generica. ho imparato soprattutto a capire l'importanza della critica e del connesso senso critico, ho imparato con amarezza che i dati che acquisivo con erano che una piccola parte di un forte complesso di discipline. quindi tutto il contrario di ciò che si dice nell'articolo: non mi sento affatto "monodimensionale", anzi. il mio più grande cruccio è quello di non possedere delle competenze specifiche, concrete, "scientifiche" e mirate. il che è un gran problema per chi è sprovvisto di doti comunicative, per chi è patologicamente inibito e tende a estraniarsi per il duplice disprezzo dei "tecnici" e dei "teorici", ma che a sua volta non se la sente di dichiarare la resa, ma manifesta inferiorità ai due gruppi, dei quali intuisce la cieca e pericolosa superficialità.
per chiudere dico che al festival di venezia non ci vado, a parte quest'anno, dopo il mio primo stipendio (dopo la laurea in scienze della formazione primaria, che a differenza di ciò che si scrive ha un obiettivo specifico)
se il corso di laurea in dams è ancora così com'era nel 2001-2005, senza dei tirocini seri, senza una meta, senza capacità di rinnovarsi,allora sì, dovrebbe chiudere. o almeno dichiarare sul libro dell'orientamento: "sbocco professionale: nullo"

 

Posta un commento

<< Home