I tre grandi limiti degli indignados (e qualche consiglio per una ribellione radicale)
Siamo ancora tutti stupiti dalla capacità di organizzazione e mobilitazione dimostrata dal movimento che viene chiamato degli “indignati” (indignados per seguire la moda spagnola), che ha portato recentemente la contestazione nelle piazze di decine e decine di città di tutto il mondo. C’è da essere soddisfatti nel vedere finalmente la popolazione togliere il sedere dal divano e gli occhi dal televisore e contestare apertamente lo status quo. C’è da essere più che soddisfatti dalla dimensione mondiale che il fenomeno ha assunto in queste ultime settimane, risultato conseguito evidentemente grazie ai media interattivi-partecipativi contemporanei. Tuttavia la rivolta-contestazione a cui abbiamo assistito ci lascia con l’amaro in bocca e non ci sentiamo di affiancarla per come si è presentata. Di fronte alla realtà contemporanea, non possiamo essere e agire da indignati: dobbiamo intraprendere una strada estremamente più convincente e radicale.
Tanto si è scritto e tanto si è detto in questi giorni di questo movimento di contestazione. Si è detto e si è scritto tanto, e male. Male perché il solito cronachismo/sensazionalismo spiccio ha come sempre prevalso su qualsiasi attenta analisi del fenomeno. E allora fiumi di inchiostro sul movimento violento, sul movimento pacifico, movimento no-global, movimento anticapitalista, etc. fino a morire dalla noia.
Qui vogliamo mostrare, invece, i limiti evidenti della rivolta degli indignados, così come si è manifestata nelle ultime settimane. Le migliori osservazioni in questi giorni sono venute da chi non si è lasciato condizionare dall'agenda mediatica e ha percepito con chiarezza ciò che manca a simili proteste. A ben vedere, siamo di fronte a tipiche contestazioni postmoderne. Contestazioni sterili, forse addirittura innocue, e questo per tre motivi principali:
1. I movimenti di rivolta nell’epoca postmoderna mancano di un vero pensiero radicale alternativo al sistema di potere che intendono contestare. Manca sostanzialmente una reale contrapposizione ideologica. Se andiamo in giro a leggere i documenti scritti che figurano come “manifesti” di questo movimento di "indignati", ci si ritroverà subito nella miseria ideologica più totale. Tralasciando i vaghi e triti slogan anticapitalisti, si scoprirà che gli indignados sono in realtà gli esclusi, i precari, i disoccupati, coloro che non ce l’hanno fatta ad integrarsi nel sistema. Lottano perché le banche hanno esagerato, e reclamano che le cose funzionino meglio, ma non ci sono reali proposte per abbattere il sistema e costruirne uno nuovo radicalmente differente. Non c'è una visione globale alternativa, c'è soltanto una rivendicazione suggerita dalle condizioni del momento. La conferma che i contestatori sono parte del sistema che credono di voler abbattere arriva puntuale leggendo i documenti degli indignados. Sorvolando sulle banalità più sconcertanti, occorre fare attenzione alle obsolete e borghesissime rivendicazioni per il lavoro e addirittura per una maggiore istruzione/educazione. È evidente che la linea è quella della continuità con il sistema dominante. Questi esclusi non hanno ancora compreso che è proprio attraverso i canali consolidati dell’istruzione e del lavoro che il sistema continua a controllare con una certa tranquillità la situazione e a porre in rapporto di sudditanza la popolazione. Persino in momenti di contestazione come questi è tutto sotto controllo: gli appelli a lavorare e studiare di più da parte di chi contesta sono la conferma che non c’è nulla di pericoloso ancora per chi gestisce il potere. Prima di entrare nella palude postmoderna le avanguardie e le grandi contestazioni e rivolte del Novecento, dai primi decenni del secolo agli anni Sessanta, avevano ben chiaro che occorreva scagliarsi contro l’istruzione, contro la scuola e l’università, contro il lavoro. Si aveva ben chiaro che occorreva colpire al cuore il sistema per poterlo poi ricostruire su altre basi. Oggi sembra sia scomparsa quel tipo di lucidità e si inneggia vagamente ad un "cambiamento", e magari ad un abbattimento della mentalità economicistica, affidandosi paradossalmente proprio alle strutture di potere consolidate. Come se quella mentalità non uscisse fuori dalle nostre scuole e dalle nostre università! Come se la religione del lavoro fosse un principio indiscutibile da venerare!
2. Il secondo aspetto per cui le contestazioni postmoderne sono innocue è che si tratta di rivolte spettacolarizzate. Come si può vedere dai tanti filmati (ormai circolanti anche in rete) la partecipazione ad eventi del genere non è tanto sentita visceralmente, quanto indotta dalla caciara mass-mediatica che crea nei cittadini-spettatori quasi uno stato di trance per cui occorre esserci ad ogni costo per poter apparire nel grande evento mondiale (non si risentano coloro che hanno partecipato invece infiammati e infiammando, queste parole non sono rivolte evidentemente a loro). Ed è così che la gente si ritrova in piazza e per le strade e non sa bene cosa fare. Anzi, la prima cosa che fa è mettere mano alla macchina fotografica o al cellulare per fare foto e video, anche quando da fotografare e riprendere c’è solo il nulla di una folla aggregatasi mollemente e fiaccamente. Si è contenti di essere lì in quel momento. Da qualche anno la possibilità di viralizzare sui vari social network e su youtube questo drogante “c’ero anch’io” ha addirittura incrementato l’ansia di partecipare a questo tipo di eventi. Mezzi potenzialmente esplosivi (social network, blog, youtube) vengono così risucchiati dalla spirale spettacolare di matrice old-mediale, completando quello slittamento dall’essere all’avere all’apparire profetizzato decenni or sono da Debord.
3. Altro aspetto piuttosto deprimente è che queste contestazioni nascano solo in momenti di crisi finanziaria. Non bisogna essere troppo felici per questo tipo di rivolte, perché sono rivolte del ventre (e qui Marinetti docet). D’accordo, anche il ventre ha le sue buone motivazioni, ma non di solo ventre si vive. Un movimento lucido è in grado di percepire anche a stomaco pieno i limiti di un sistema di vita mortificante. Occorre ribellarsi ad un modo di vivere non perché affamati, ma perché istintivamente ben consapevoli che si possa vivere meglio. D’altra parte da affamati è anche difficile che si trovino soluzioni brillanti.
Per questi motivi le contestazioni postmoderne risultano tanto noiose. Non brilla l’individuo; non brilla il pensiero; non brilla l’azione. L’individuo si riunisce in folle, che diventano ben presto masse; il pensiero è assente; l’azione senza pensiero può essere solo vano teppismo.
Non siamo contro le folle, siamo per le folle agitate da grandi ideali. Ma le folle senza ideali diventano masse. E noi siamo contro le masse.
Per concludere riprendo le frasi finali del manifesto degli indignados, frasi che suonano deboli slogan, e che per questo occorre rapidamente correggere:
“Per quanto detto sopra, sono indignato. Credo di poterlo cambiare. Credo di potere aiutare. So che uniti possiamo. Esci con noi. È un tuo diritto”.
Se vuoi ribellarti a qualcuno e a qualcosa. Se hai dentro il fuoco. Se vuoi abbattere il vecchio e ricostruire un mondo nuovo. Non pensare a questo modo. Non usare queste parole. Colpisci al cuore il sistema e re-inventalo da capo. Torna vivo!
Etichette: contestazione, Debord, folla, indignados, indignati, Marinetti, mass media, massa, postmoderno, ribellione, rivolta, società dello spettacolo, youtube
6 Comments:
condivido!
ottimo!
c'è tutto
Purtroppo è così: si alza il tono solo quando le proprie tasche vengono toccate. Che indignazione! Possibile che il modello socialmente diffuso più radicale sia il Bravo Cittadino?
L'ancora attualissimo "Re Baldoria", con la rivolta di Famone, avrebbe già dovuto aprirci gli occhi sulle potenzialità critiche di questi movimenti. C'è modo e modo di fare contestazione. Gli indignati contestano il minimo contestabile. Gli slogan più attuali, figli diretti delle pubblicità, possono essere parafrasati in tal modo: RIVOGLIO LA MIA VITA MEDIOCRE
Belle riflessioni!
Notevole il fatto che...
l'autore del blog sia proprio un insegnante e non abbia alcun timore ad attaccare la stessa istituzione presso cui lavora.
Altro che rivendicazioni "borghesissime" degli indignados.
Saccoccio, incitando gli indignados a prendere maggiore consapevolezza delle potenzialità del loro movimento di contestazione, vuole risuscitare lo spirito antiborghese proprio delle avanguardie del secolo scorso.
Ho una domanda per lei, prof. Saccoccio.
Cosa la spinge, lei che ha un lavoro e per di più nel settore pubblico, a protestare con tanta veemenza contro lo status quo, quando potrebbe tranquillamente gustarsi la "caciara mass-mediatica" col sedere incollato sul suo divano?
Complimenti e sempre avanti contro i net.conigli!
Giorgio C.
Ottimo articolo, ottime idee.
Grazie Cesare
@Blade Painnet, so che condividi e so che condividerai ;)
@Stefano Balice, esatto: VOGLIO LA MIA VITA MEDIOCRE, LA VOGLIO MEDIOCRE COME LA VOSTRA! pazienza, tanta pazienza ci vuole ;)
@Giorgio C., è una questione di onestà intellettuale. Se ritengo penosa la scuola ho il dovere morale di attaccarla anche se mi dà da mangiare. Proprio perchè non è il cibo a dettare il mio pensiero-azione. Non saprei mai stare con il sedere sul divano, non l'ho mai fatto e credo che lo farò solo quando sarò costretto per necessità fisiche.
@Stefano, grazie. Ci conosciamo?
Posta un commento
<< Home