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mercoledì, ottobre 31, 2012

Anarchia e Futurismo: verso un’alleanza contro il nemico comune


Manifesto / lettera aperta agli anarchici e ai futuristi

Anarchia e Futurismo: verso un’alleanza contro il nemico comune

Premessa

Il confronto tra futuristi e anarchici è questione ormai secolare. Esattamente cento anni fa, nel 1912, Renzo Provinciali dalle pagine della rivista anarchica «La barricata» pubblicò il manifesto Futurismo e anarchia, in cui affermava: «Gli anarchici sono sempre stati profondamente futuristi, e comprenderanno l’impellente bisogno di penetrare ne l’ideale Futurista, nel vero Futurismo, Futurismo libero da le dittature e da le ambizioni e così gli anarchici saranno ancora più perfetti, più coscienti de le rivendicazioni politiche e artistiche. Dunque futuristi-anarchici e anarchici-futuristi, due ideali, due classi di persone che si completeranno a vicenda». Con queste chiarissime parole, e altre di tono simile presenti nel medesimo testo, Provinciali riusciva a spiegare il motivo per cui futuristi e anarchici avevano bisogno gli uni degli altri. Noi oggi, dopo la sostanziale sconfitta del futurismo e dell’anarchismo (perché i pochi successi non possono farci dimenticare che viviano in una società passatista e gerarchica al massimo grado), dobbiamo interrogarci ancora su tale questione e dobbiamo farlo con la massima serietà e lucidità.


Avanguardia politica e avanguardia artistica: ideal-utopismo e mistica dell’azione

Perché i futuristi hanno bisogno degli anarchici? E perché gli anarchici hanno bisogno dei futuristi? C’è un primo motivo, che è quello già espresso un secolo fa da Provinciali: l’avanguardia non può limitarsi ad un solo campo, gli anarchici sono l’avanguardia politica e i futuristi l’avanguardia artistico-letteraria, l’una senza l’altra non ha senso, quindi bisogna allearsi. Non è concepibile in sostanza un atteggiamento di retroguardia in arte e di avanguardia in politica, così come non è concepibile il contrario. Questo è indiscutibile e tutto sommato valido ancora oggi. La necessità è sempre quella di unire due mondi che hanno bisogno l’uno dell’altro e che da isolati non possono che soccombere, perché visioni parziali.
Ciò che rende importante, se non la fusione, almeno la contaminazione e cooperazione tra anarchici e futuristi è la necessità di porre fine a tendenze estremiste poco igieniche, tendenti o alla pura utopia o alla brutale concretezza, che negli uni e negli altri affiorano assai di frequente. Mi spiego: la vera forza del pensiero anarchico è quella di riuscire a pensare ad un mondo radicalmente differente da quello attuale, questo aspetto rende unica la ricerca anarchica rispetto ad altri modelli che pure hanno un vasto seguito. Ora, a ben vedere, questa forza è anche la debolezza dell’anarchia: perché spesso questo radicale rinnovamento sembra così lontano e arduo che ben presto ogni tentativo di attuarlo diventa vano, velleitario e si finisce così per propendere per la pura elaborazione teorica, certo ammirevolissima, ma che perde troppo spesso contatto con la modificazione della realtà (che viene limitata ad episodiche scaramucce di strada utili ormai solo a chi aspira all’identificazione anarchici=bombaroli). I futuristi, da parte loro, sono i “mistici dell’azione”, la loro volontà, che è anche la loro forza, risiede nella modificazione concreta e brutale della realtà. Ma anche per loro il punto di forza, lo sappiamo per esperienza, può diventare una debolezza: spesso i futuristi, pur di raggiungere obiettivi concreti, perdono di vista i loro ideali di partenza (e in questo caso il futurismo visionario diventa un presentismo terra terra). In fin dei conti l’accettazione, seppure parziale e a malincuore (è ormai noto a tutti che futurismo e fascismo sono teoricamente inconciliabili), della vittoria del fascismo in Italia fu considerata dai futuristi in questi termini: il fascismo aveva pur realizzato concretamente qualcosa, aveva tradotto idee nuove (anche se ormai non più futuriste) in azione. E questo servì a Marinetti e soci in qualche modo da giustificazione per il fallimento futurista in ambito politico. Con il senno di poi si può dire che fu una scelta decisamente controproducente: sarebbe stato preferibile arrivare allo scontro frontale con Mussolini, gli argomenti non mancavano di certo.
Insomma futuristi e anarchici sono ribelli, libertari, antiparlamentari, anticlericali, hanno tanto in comune, comprese alcune debolezze. Ora, è evidente che un secolo fa la differenza che notava Provinciali era reale: agli anarchici interessava più il lato politico, al Futurismo interessava più il lato artistico-letterario, ma anche questo era vero fino ad un certo punto, perché sappiamo che per Marinetti la politica era fondamentale, proprio perché gli dava un appiglio concreto alla realtà (il problema risiedeva invece nel fatto che il fondatore del Futurismo aveva, tra il 1909 e il 1912, messo tra parentesi “il gesto distruttore dei libertari” e “le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa” del primo manifesto, per mettere maggiormente l’accento sul militarismo e il nazionalismo). Oggi, tornando al problema posto sopra, si tratta ancora di comprendere che la difficoltà per pensieri d’avanguardia come quelli portati avanti da anarchici e futuristi risiede nella conciliazione tra la dimensione ideal-utopica e quella realizzativa. A mio avviso gli anarchici hanno tutto da guadagnare nel frequentare i futuristi, perché frequentandoli non corrono il rischio di perdersi in infinite e perfettissime teorizzazioni che portano tutte invariabilmente alla paralisi; con i futuristi gli anarchici possono mettere in pratica costantemente il loro pensiero (per mezzo di performance, happening, sabotaggi mediali, etc.). Allo stesso modo i futuristi devono frequentare gli anarchici, perché hanno spesso bisogno di vivificare con massicce dosi di ideal-utopia anarchica il loro istinto vitalistico che li conduce frequentemente al vano presentismo (e non di rado sulle soglie di quella sperimentazione artistica separata dalla vita reale, che costituisce invece la negazione dell’autentico futurismo).


Gli ostacoli: varietà delle correnti interne ed esterne

Premessa: inutile soffermarsi troppo sul fatto che la maggioranza di coloro che si dichiarano oggi anarchici o futuristi non hanno, ahimè!, nulla di anarchico e nulla di futurista. Questo testo non è rivolto a chi si definisce anarchico o futurista, ma a chi è realmente anarchico o futurista. Per essere anarchico e/o futurista bisogna innanzitutto sentire profondamente la vita scorrere per tutto il corpo (e questo è un fatto puramente caratteriale istintuale). Quando si avverte la presenza pulsante della vita non si può che desiderare l’abbattimento delle convenzionalità paralizzanti e dei vincoli raccapriccianti che ci ammorbano quotidianamente. Secondariamente occorre capire che quello che si sente con tanta evidenza in corpo si chiama anarchia e/o futurismo (e questo è un problema intellettuale e culturale). Chi è in cerca di facili avventure, magari perché si annoia e/o ha una vita mediocrissima, e si definisce anarchico o futurista, non solo non è né anarchico né futurista, ma è più propriamente un imbecille. L’anarchico e il futurista sentono pulsare dentro di loro questi ideali e non hanno alcun tempo da perdere con chi cerca passatempi e capricci radical chic. Chiusa la premessa, veniamo al problema più complicato da risolvere, che è di natura puramente culturale e intellettuale.
Innanzitutto le classificazioni. Ci sono futuristi di varia natura, e anarchici di varia natura. Ci sono futuristi bellicisti, futuristi spiritualisti, futuristi nazionalisti, futurdadaisti (e persino futurfascisti), così come ci sono anarcoindividualisti, anarcosocialisti, anarcosituazionisti (e persino anarcocomunisti). Ora, se pensiamo che già all’interno delle due rispettive famiglie ci sono seri problemi di convivenza e ci si tollera appena, è chiaro che la convivenza tra anarchici e futuristi rischia di diventare una chimera. Al limite potrebbero essere solo gli estremi delle due famiglie ad essere incompatibili: i futurfascisti a prima vista hanno difficoltà ad integrarsi con gli anarchici, così come gli anarcocomunisti a dialogare con i futuristi. Anche questa osservazione è tuttavia limitata al livello teorico, in quanto spesso tali definizioni sono più formali che reali. Bisognerebbe sempre confrontarsi e scontrarsi sulle idee e non sui termini. Insomma, lo stesso Marinetti, prima di essere bollato (e non certo per pura fantasia) come nazionalista e bellicista, aveva fondato «Poesia», una rivista internazionalissima, tanto che il giornale anarchico «La rivolta» così ne scrisse: «Raccomandiamo vivamente ai nostri amici di leggere la rassegna internazionale Poesia di F. T. Marinetti. È una lettura molto interessante e originale».


L’aggregazione senza aggettivi

Le differenze, abbiamo visto, non ci sono solo tra anarchici e futuristi, ma anche tra le varie declinazioni futuriste e anarchiche. Come arrivare, quindi, a quella cooperazione che - si è detto - serve tanto ad entrambi? Il punto di partenza è quell’elasticità e duttilità del pensiero che solo hanno le intelligenze piene. Chi guarda solo al proprio credo senza fare un passo per comprendere e avvicinarsi al credo altrui, non solo non è anarchico né futurista, ma è animato da quello spirito accademico radical-reazionario che va allontanato sempre da qualsiasi pensiero avanguardista. L’avanguardista sente i propri simili, non si fa prendere per il sedere dalle dichiarazioni d’intenti. In fondo i grandi futuristi e i grandi anarchici hanno sempre mirato all’unione. Queste sono le parole di Errico Malatesta: «Per conto mio non vi è differenza sostanziale, differenza di principi tra “individualisti” e “comunisti anarchici”, tra “organizzatori” e “antiorganizzatori”; e si tratta più che altro di questioni di parole e di malintesi, inaspriti ed ingigantiti da questioni personali». E poi: «In quanto all'organizzazione o alle organizzazioni nel senso del partito, vi è forse chi vorrebbe che gli anarchici restassero isolati gli uni dagli altri? Certamente che no. [...] Io dissi che “nei loro moventi morali e nei loro fini ultimi anarchismo individualista e anarchismo comunista sono la stessa cosa o quasi”. La questione, secondo me, non è dunque tra “comunisti” e “individualisti”, ma tra anarchici e non anarchici».
Filippo Tommaso Marinetti, che si era recato in Russia con la speranza di allearsi con i futuristi locali, si sorprese non solo dell’ostilità dei futuristi russi nei suoi confronti, ma anche delle tendenze separatiste all’interno dei vari gruppi futuristi russi: «Non capisco perchè dobbiate litigare sempre! Possibile che non siate capaci di elaborare una piattaforma comune e di aprire un fuoco tambureggiante contro il nemico? Noi futuristi italiani abbiamo sacrificato i dissensi personali per amore della causa comune».
Evidentemente i leader naturali (leader in senso buono, quindi) sono dotati di quell’elastica intelligenza che porta a capire quando è il caso di compattare il gruppo e quando è il caso di fortificare le idee. Bisognerebbe arrivare prima ad un “futurismo senza aggettivi”, proprio come si è tentato di arrivare ad un “anarchismo senza aggettivi”. E a quel punto pervenire ad un unico AnarcoFuturismo (o FuturAnarchismo) che comprenda sia anarchici che futuristi. Tutto lo spazio ovviamente per tutte le individualità, le correnti, le differenze che non possono che portare ricchezza, ma alla fine è pur necessaria una piattaforma minima comune per far fronte comune.
Marinetti, ricordiamo anche questo, ci provò concretamente. Dalle pagine de «La demolizione» pubblicò l’articolo, quasi manifesto, I nostri nemici comuni, in cui invitava gli anarchici ad un’azione comune: «Le ali estremiste della politica e della letteratura, in un battito frenetico, spazzeranno i cieli fumanti ancora dall’ecatombe. Tutti i sindacalisti, di braccia e di pensiero, della vita e dell’arte, distruttori e creatori, anarchici della realtà e dell’ideale, eroi di tutte le forze e di tutte le bellezze, noi avanzeremo danzando con una stessa ebbrezza sovrumana verso le apoteosi comuni del Futuro!». Il direttore della rivista, Ottavio Dinale, recepì lo stimolo e rilanciò invitando all’“Unione delle forze rivoluzionarie”. Ma non se ne fece nulla.
Anarchici e futuristi oggi hanno l’occasione di sfruttare i nuovi media digitali, che nella loro essenza si configurano come profondamente anarchici e profondamente futuristi, profondamente anti-gerarchici e profondamente anti-tradizionali, per costituire un fronte comune. Perdere questa occasione di comoda aggregazione, per stare lì a delimitare il proprio recinto di influenza e competenza, significherà ancora una volta fare il gioco delle gerarchie e delle forze della conservazione che gestiscono il potere. Quando ci sono in gioco obiettivi tanto importanti, le differenze vanno esaltate, ingigantite nella comune aggregazione e nel serrato confronto, non devono diventare in alcun modo invalicabili barriere irte di dogmatismo.
L’invito è rivolto quindi agli anarchici e ai futuristi, affinchè si apra immediatamente un confronto per individuare quegli obiettivi minimi su cui fondare un’alleanza contro il nemico comune.
Sì, il nemico comune. È lì, visibilissimo e fortissimo, insensibile, sfrontato e arrogante. Ma è anche troppo incurante dell’agguato che gli stiamo preparando e del tutto sprovvisto delle nostre visioni, della nostra energia, del nostro entusiasmo, della nostra generosità, della nostra ansia di ribellione e di liberazione. Ed è per questo che lo sconfiggeremo.

Antonio Saccoccio



Firmatari

Gianluigi Giorgetti
Stefano Balice
Klaus-Peter Schneegass
Kristian Fumei
Roberto Guerra
Laika Facsimile
Mario Adesposta
Silvia Vernola
Raimondo Galante
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