Anarchia e Futurismo: verso un’alleanza contro il nemico comune
Manifesto /
lettera aperta agli anarchici e ai futuristi
Anarchia e Futurismo: verso un’alleanza contro il
nemico comune
Premessa
Il
confronto tra futuristi e anarchici è questione ormai secolare. Esattamente
cento anni fa, nel 1912, Renzo Provinciali dalle pagine della rivista anarchica
«La barricata» pubblicò il manifesto Futurismo
e anarchia, in cui affermava: «Gli
anarchici sono sempre stati profondamente futuristi, e comprenderanno
l’impellente bisogno di penetrare ne l’ideale Futurista, nel vero Futurismo,
Futurismo libero da le dittature e da le ambizioni e così gli anarchici saranno
ancora più perfetti, più coscienti de le rivendicazioni politiche e artistiche.
Dunque futuristi-anarchici e
anarchici-futuristi, due ideali, due classi di persone che si completeranno a
vicenda». Con queste chiarissime parole, e altre di tono simile presenti nel
medesimo testo, Provinciali riusciva a spiegare il motivo per cui futuristi e
anarchici avevano bisogno gli uni degli altri. Noi oggi, dopo la sostanziale
sconfitta del futurismo e dell’anarchismo (perché i pochi successi non possono
farci dimenticare che viviano in una società passatista e gerarchica al massimo
grado), dobbiamo interrogarci ancora su tale questione e dobbiamo farlo con la
massima serietà e lucidità.
Avanguardia
politica e avanguardia artistica: ideal-utopismo e mistica dell’azione
Perché i futuristi hanno bisogno degli anarchici? E perché
gli anarchici hanno bisogno dei futuristi? C’è un primo motivo, che è quello
già espresso un secolo fa da Provinciali: l’avanguardia non può limitarsi ad un
solo campo, gli anarchici sono l’avanguardia politica e i futuristi
l’avanguardia artistico-letteraria, l’una senza l’altra non ha senso, quindi bisogna allearsi. Non è concepibile in
sostanza un atteggiamento di retroguardia in arte e di avanguardia in politica,
così come non è concepibile il contrario. Questo è indiscutibile e tutto
sommato valido ancora oggi. La necessità è sempre quella di unire due mondi che
hanno bisogno l’uno dell’altro e che da isolati non possono che soccombere,
perché visioni parziali.
Ciò che rende importante, se non la fusione, almeno la
contaminazione e cooperazione tra anarchici e futuristi è la necessità di porre
fine a tendenze estremiste poco igieniche, tendenti o alla pura utopia o alla brutale
concretezza, che negli uni e negli altri affiorano assai di frequente. Mi
spiego: la vera forza del pensiero anarchico è quella di riuscire a pensare ad
un mondo radicalmente differente da quello attuale, questo aspetto rende unica la
ricerca anarchica rispetto ad altri modelli che pure hanno un vasto seguito.
Ora, a ben vedere, questa forza è anche la debolezza dell’anarchia: perché
spesso questo radicale rinnovamento sembra così lontano e arduo che ben presto
ogni tentativo di attuarlo diventa vano, velleitario e si finisce così per propendere
per la pura elaborazione teorica, certo ammirevolissima, ma che perde troppo
spesso contatto con la modificazione della realtà (che viene limitata ad episodiche
scaramucce di strada utili ormai solo a chi aspira all’identificazione
anarchici=bombaroli). I futuristi, da parte loro, sono i “mistici dell’azione”,
la loro volontà, che è anche la loro forza, risiede nella modificazione
concreta e brutale della realtà. Ma anche per loro il punto di forza, lo
sappiamo per esperienza, può diventare una debolezza: spesso i futuristi, pur
di raggiungere obiettivi concreti, perdono di vista i loro ideali di partenza
(e in questo caso il futurismo visionario diventa un presentismo terra terra).
In fin dei conti l’accettazione, seppure parziale e a malincuore (è ormai noto
a tutti che futurismo e fascismo sono teoricamente inconciliabili), della
vittoria del fascismo in Italia fu considerata dai futuristi in questi termini:
il fascismo aveva pur realizzato concretamente qualcosa, aveva tradotto idee nuove
(anche se ormai non più futuriste) in azione. E questo servì a Marinetti e soci
in qualche modo da giustificazione per il fallimento futurista in ambito
politico. Con il senno di poi si può dire che fu una scelta decisamente
controproducente: sarebbe stato preferibile arrivare allo scontro frontale con
Mussolini, gli argomenti non mancavano di certo.
Insomma futuristi e anarchici sono ribelli, libertari,
antiparlamentari, anticlericali, hanno tanto in comune, comprese alcune
debolezze. Ora, è evidente che un secolo fa la differenza che notava
Provinciali era reale: agli anarchici interessava più il lato politico, al
Futurismo interessava più il lato artistico-letterario, ma anche questo era
vero fino ad un certo punto, perché sappiamo che per Marinetti la politica era
fondamentale, proprio perché gli dava un appiglio concreto alla realtà (il
problema risiedeva invece nel fatto che il fondatore del Futurismo aveva, tra
il 1909 e il 1912, messo tra parentesi “il gesto distruttore dei libertari” e
“le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa” del primo
manifesto, per mettere maggiormente l’accento sul militarismo e il
nazionalismo). Oggi, tornando al problema posto sopra, si tratta ancora di
comprendere che la difficoltà per pensieri d’avanguardia come quelli portati
avanti da anarchici e futuristi risiede nella conciliazione tra la dimensione
ideal-utopica e quella realizzativa. A mio avviso gli anarchici hanno tutto da
guadagnare nel frequentare i futuristi, perché frequentandoli non corrono il
rischio di perdersi in infinite e perfettissime teorizzazioni che portano tutte
invariabilmente alla paralisi; con i futuristi gli anarchici possono mettere in
pratica costantemente il loro pensiero (per mezzo di performance, happening,
sabotaggi mediali, etc.). Allo stesso modo i futuristi devono frequentare gli
anarchici, perché hanno spesso bisogno di vivificare con massicce dosi di
ideal-utopia anarchica il loro istinto vitalistico che li conduce frequentemente
al vano presentismo (e non di rado sulle soglie di quella sperimentazione
artistica separata dalla vita reale, che costituisce invece la negazione
dell’autentico futurismo).
Gli ostacoli:
varietà delle correnti interne ed esterne
Premessa: inutile soffermarsi troppo sul fatto che la
maggioranza di coloro che si dichiarano oggi anarchici o futuristi non hanno, ahimè!,
nulla di anarchico e nulla di futurista. Questo testo non è rivolto a chi si definisce anarchico o futurista, ma a
chi è realmente anarchico o
futurista. Per essere anarchico e/o futurista bisogna innanzitutto sentire
profondamente la vita scorrere per tutto il corpo (e questo è un fatto puramente
caratteriale istintuale). Quando si avverte la presenza pulsante della vita non
si può che desiderare l’abbattimento delle convenzionalità paralizzanti e dei
vincoli raccapriccianti che ci ammorbano quotidianamente. Secondariamente
occorre capire che quello che si sente con tanta evidenza in corpo si chiama
anarchia e/o futurismo (e questo è un problema intellettuale e culturale). Chi
è in cerca di facili avventure, magari perché si annoia e/o ha
una vita mediocrissima, e si definisce
anarchico o futurista, non solo non è
né anarchico né futurista, ma è più propriamente un imbecille. L’anarchico e il
futurista sentono pulsare dentro di loro questi ideali e non hanno alcun tempo
da perdere con chi cerca passatempi e capricci radical chic. Chiusa la
premessa, veniamo al problema più complicato da risolvere, che è di natura puramente
culturale e intellettuale.
Innanzitutto le classificazioni. Ci sono futuristi di varia
natura, e anarchici di varia natura. Ci sono futuristi bellicisti, futuristi
spiritualisti, futuristi nazionalisti, futurdadaisti (e persino futurfascisti),
così come ci sono anarcoindividualisti, anarcosocialisti, anarcosituazionisti
(e persino anarcocomunisti). Ora, se pensiamo che già all’interno delle due
rispettive famiglie ci sono seri problemi di convivenza e ci si tollera appena,
è chiaro che la convivenza tra anarchici e futuristi rischia di diventare una
chimera. Al limite potrebbero essere solo gli estremi delle due famiglie ad
essere incompatibili: i futurfascisti a prima vista hanno difficoltà ad integrarsi con gli
anarchici, così come gli anarcocomunisti a dialogare con i
futuristi. Anche questa osservazione è tuttavia limitata al livello teorico, in
quanto spesso tali definizioni sono più formali che reali. Bisognerebbe sempre
confrontarsi e scontrarsi sulle idee e non sui termini. Insomma, lo stesso
Marinetti, prima di essere bollato (e non certo per pura fantasia) come
nazionalista e bellicista, aveva fondato «Poesia», una rivista
internazionalissima, tanto che il giornale anarchico «La rivolta» così ne scrisse:
«Raccomandiamo vivamente ai nostri amici di leggere la rassegna internazionale Poesia di F. T. Marinetti. È una lettura
molto interessante e originale».
L’aggregazione
senza aggettivi
Le differenze, abbiamo visto, non ci sono solo tra anarchici
e futuristi, ma anche tra le varie declinazioni futuriste e anarchiche. Come
arrivare, quindi, a quella cooperazione che - si è detto - serve tanto ad
entrambi? Il punto di partenza è quell’elasticità e duttilità del pensiero che
solo hanno le intelligenze piene. Chi guarda solo al proprio credo senza fare un
passo per comprendere e avvicinarsi al credo altrui, non solo non è anarchico
né futurista, ma è animato da quello spirito accademico radical-reazionario che
va allontanato sempre da qualsiasi pensiero avanguardista. L’avanguardista sente i propri simili, non si fa
prendere per il sedere dalle dichiarazioni d’intenti. In fondo i grandi
futuristi e i grandi anarchici hanno sempre mirato all’unione. Queste sono le
parole di Errico Malatesta: «Per conto mio non vi è differenza sostanziale,
differenza di principi tra “individualisti” e “comunisti anarchici”, tra
“organizzatori” e “antiorganizzatori”; e si tratta più che altro di questioni
di parole e di malintesi, inaspriti ed ingigantiti da questioni personali». E
poi: «In quanto all'organizzazione o alle organizzazioni nel senso del partito,
vi è forse chi vorrebbe che gli anarchici restassero isolati gli uni dagli
altri? Certamente che no. [...] Io dissi che “nei loro moventi morali e nei
loro fini ultimi anarchismo individualista e anarchismo comunista sono la
stessa cosa o quasi”. La questione, secondo me, non è dunque tra “comunisti” e
“individualisti”, ma tra anarchici e non anarchici».
Filippo Tommaso Marinetti, che si era recato in Russia con la
speranza di allearsi con i futuristi locali, si sorprese non solo dell’ostilità
dei futuristi russi nei suoi confronti, ma anche delle tendenze separatiste
all’interno dei vari gruppi futuristi russi: «Non capisco perchè dobbiate litigare sempre! Possibile che non siate
capaci di elaborare una piattaforma comune e di aprire un fuoco tambureggiante
contro il nemico? Noi futuristi italiani abbiamo sacrificato i dissensi
personali per amore della causa comune».
Evidentemente i leader naturali (leader in senso buono,
quindi) sono dotati di quell’elastica intelligenza che porta a capire quando è
il caso di compattare il gruppo e quando è il caso di fortificare le idee.
Bisognerebbe arrivare prima ad un “futurismo senza aggettivi”, proprio come si
è tentato di arrivare ad un “anarchismo senza aggettivi”. E a quel punto pervenire
ad un unico AnarcoFuturismo (o FuturAnarchismo) che comprenda sia anarchici che
futuristi. Tutto lo spazio ovviamente per tutte le individualità, le correnti,
le differenze che non possono che portare ricchezza, ma alla fine è pur
necessaria una piattaforma minima comune per far fronte comune.
Marinetti, ricordiamo anche questo, ci provò concretamente.
Dalle pagine de «La demolizione» pubblicò l’articolo, quasi manifesto, I nostri nemici comuni, in cui invitava
gli anarchici ad un’azione comune: «Le ali estremiste
della politica e della letteratura, in un battito frenetico, spazzeranno i
cieli fumanti ancora dall’ecatombe. Tutti i sindacalisti, di braccia e di
pensiero, della vita e dell’arte, distruttori e creatori, anarchici della
realtà e dell’ideale, eroi di tutte le forze e di tutte le bellezze, noi
avanzeremo danzando con una stessa ebbrezza sovrumana verso le apoteosi comuni
del Futuro!». Il direttore della rivista, Ottavio Dinale, recepì lo
stimolo e rilanciò invitando all’“Unione delle forze rivoluzionarie”. Ma non se
ne fece nulla.
Anarchici e futuristi oggi hanno l’occasione di sfruttare i
nuovi media digitali, che nella loro essenza si configurano come profondamente
anarchici e profondamente futuristi, profondamente anti-gerarchici e profondamente
anti-tradizionali, per costituire un fronte comune. Perdere questa occasione di
comoda aggregazione, per stare lì a delimitare il proprio recinto di influenza
e competenza, significherà ancora una volta fare il gioco delle gerarchie e
delle forze della conservazione che gestiscono il potere. Quando ci sono in
gioco obiettivi tanto importanti, le differenze vanno esaltate, ingigantite
nella comune aggregazione e nel serrato confronto, non devono diventare in
alcun modo invalicabili barriere irte di dogmatismo.
L’invito è rivolto quindi agli anarchici e ai futuristi,
affinchè si apra immediatamente un confronto per individuare quegli obiettivi
minimi su cui fondare un’alleanza contro il nemico comune.
Sì, il nemico comune. È lì, visibilissimo e fortissimo, insensibile,
sfrontato e arrogante. Ma è anche troppo incurante dell’agguato che gli stiamo
preparando e del tutto sprovvisto delle nostre visioni, della nostra energia, del
nostro entusiasmo, della nostra generosità, della nostra ansia di ribellione e
di liberazione. Ed è per questo che lo sconfiggeremo.
Antonio Saccoccio
Firmatari
Gianluigi Giorgetti
Stefano Balice
Klaus-Peter Schneegass
Kristian Fumei
Roberto Guerra
Laika Facsimile
Mario Adesposta
Silvia Vernola
Kristian Fumei
Roberto Guerra
Laika Facsimile
Mario Adesposta
Silvia Vernola
Raimondo Galante
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