LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

venerdì, luglio 27, 2007

Marinetti: Spagna veloce e toro futurista

"Spagna veloce e toro futurista" è un breve romanzo poco noto di Filippo Tommaso Marinetti, ma senza dubbio uno dei migliori. Scritto nel 1931, racconta un viaggio in automobile da Barcellona a Madrid e poi una corrida.
La sezione finale è davvero un inno all'eroismo del toro, che, prima di morire, lancia parole cariche di futurismo. Ecco il brano.
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"Muore con me il re dei tori, una cornuta macchina antisociale di esplodente potenza selvaggia! Ma prima di morire, se lo zampillo del mio sangue saprà diventare una fontana... Se quella fontana raddoppierà la sua irruenza potrò, sì!, potrò, potrò sradicare la lama e rivoltarla con uno scatto contro l'uomo maledetto!"

Andante maestoso

rossonero
rossoneroviola

Silenzio. Pesi e misure della fatalità. Agli occhi di un aviatore che volava a 1000 metri su Barcellona, il toro sembrò una misteriosa lagrima nera in un piatto d'oro il cui orlo infiorato tremava al vento della sera.

200 chilometri all'ora
più 7 pericoli di rotture
nei tenditori delle ali
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Il toro muggì:
"Oramai, oramai non mi curo di te matador astuto e vile, che non osasti combattermi da solo. Bavo il mio disprezzo su i tuoi compagni di massacro e sugli sciocchi applausi di cui nutri il tuo coraggio. Vedo a tre passi dalla mia zampa destra la Nemica di quercia fulminata, dal viso di carbone scolpito dagli avvoltoi! E' lei, che debbo uccidere!"

(crescendo veloce)
La Morte
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Mentre così rantolava, il toro concentrava tutte le sue forze nelle sue corna puntate; poi, perdendo d'un tratto le quattro zampe come svanite, si scagliò, lunga lunga bomba nera, contro la Morte invisibile ma presente.
Scricchiolare di corna e ossame aggrovigliati. Accartocciamento atroce a cui rispondono gli schianti patetici delle fondamenta delle gradinate dell'Arena de toros.
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Di lì a poco termina il romanzo. E tutti portiamo negli occhi l'immagine di questo toro che eroicamente si ribella alla viltà degli uomini. Proprio come si ribellava il futurismo alla società vile del tempo. Proprio come si ribella oggi il neofuturismo alla vigliaccheria passatista e presentista.
Antonio Saccoccio

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lunedì, luglio 23, 2007

Lotta e creazione

"Noi ancora lottiamo passo dopo passo con il gigante caso, e sull'intera umanità ha finora dominato l'insensatezza, il senza-senso.
Il vostro spirito e la vostra virtù servano il senso della terra, fratelli miei: e siano di nuovo fissati da voi i valori di tutte le cose! Perciò dovete essere combattivi! Perciò dovete essere creatori!"

Nietzsche, Così parlò Zarathustra

Ribadiamo la necessità della lotta e della creazione. Due necessità profondamente integrate ed interdipendenti. Per ribellarsi all'oggi bisogna essere combattivi e creatori. Il Neofuturismo è una palestra di audacia e creatività.

Antonio Saccoccio

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lunedì, luglio 16, 2007

Maurizio Calvesi: una voce onesta sul futurismo italiano

Uno degli obiettivi dichiarati del Neofuturismo è concorrere ad una revisione critica del Futurismo italiano novecentesco.
Già altre volte ci siamo occupati di certa critica partigiana, che ha contribuito a gettare fango e alimentare ignoranza nei confronti del movimento di Marinetti.
Chiunque abbia studiato seriamente e senza pregiudizi il futurismo sa quanto questa avanguardia sia stata decisiva per i successivi sviluppi dell’arte del Novecento. Restano quindi gravissimi i tentativi, spinti tutti da mediocri motivazioni ideologiche, di voler in qualche modo oscurare l’importanza dei futuristi italiani.
Per fortuna ci sono anche studiosi seri, che con grande professionalità già da tempo hanno riconosciuto al futurismo tutti i meriti che gli spettano. Uno di questi è Maurizio Calvesi, uno dei più illustri storici dell'arte italiani.
Riporto qui una sua pagina tratta dall’introduzione a “Le due avanguardie. Dal futurismo alla Pop Art”. Riporto questo passo, perché l’impostazione di Calvesi è la stessa che propongo da più di due anni su questo blog.

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“Quanto al futurismo, sembrava negli ultimi tempi meno bersagliato dall’annosa ostilità, quasi si fosse disposti ad un sereno vaglio storico dei suoi contributi. Il vaglio, del resto, ha avuto luogo, ma mentre l’apporto linguistico viene sempre meglio conosciuto e riconosciuto, dai più, attraverso un’ormai imponente bibliografia, le polemiche si sono riaccese sotto il profilo (e il pretesto) politico. Dico anche pretesto, perché, non meno che da intransigenza ideologica, le condanne paiono dettate da un’inestinguibile antipatia verso il movimento che più spiacevolmente ha contrastato nelle sue viscerali opzioni estetiche il borghese o benpensante a destra come a sinistra; il tratto brutale del futurismo ha oltraggiato la trepida e letteraria ancella dei valori psicologici e soggettivi di qualificazione borghese, l’arte, la poesia, il bello e sottile scrivere sia pure nel cifrario dell’avanguardia.
Le due motivazioni evidentemente coesistono, ad esempio, nell’ideologo e poeta Sanguineti, incline ad una rivalutazione del futurismo “moderato”, di marca toscana, che è poi una sottile strategia di lotta contro il vero futurismo. Né, di fronte all’oggettiva importanza del rivolgimento linguistico, manca il tentativo quanto mai equivoco di distinguere, dall’ideologia marinettiana che si vorrebbe isolare nel lazzaretto, quella di altri futuristi, specialmente pittori, Boccioni in primis, impartendo loro un’assoluzione ideologica e quindi artistica. Tuttavia troppi elementi, anche esterni e oggettivi, stanno a dimostrare la perfetta solidarietà di Boccioni (e basta leggere il suo epistolario) con il Marinetti addirittura più spinto, quello, per intenderci, di “guerra sola igiene del mondo”.
A queste deplorevoli confusioni concorrono più fattori: la ridotta capacità di leggere nel discorso pittorico, l’insufficienza di informazione e scrupolo filologico, che la critica ideologizzante e manichea tende ad accantonare come inutile, né più né meno che, a suo tempo, la critica crociana; il pronunciamento sui meriti (“poetici”, allora: poesia e non poesia; politici oggi: rosso o nero) ha da essere drastico, razzisticamente olfattivo e, per tal via, intuitivo e folgorante.
Un esempio: tra il futurismo russo, il Blaue Reiter e il futurismo italiano, la graduatoria di merito è automatica e intuitiva, primo, secondo e ultimo: infatti il futurismo russo è riferibile alla rivoluzione leninista, il Blaue Reiter all’ideale democratico, il futurismo italiano al fascismo. La non tenue parentela, al di là delle apparenze, ideologica e linguistica dei tre movimenti, la loro convergenza in più d’un punto, sfugge nel modo più assoluto. Cosicché di fronte a questioni, che sarebbero avvincenti da indagare, di precedenze, consonanze, rapporti, scambi sul piano linguistico, l’ideologo scuote la testa: neanche a perderci tempo, nel canocchiale di Galileo non si guarda. Se assonanze ci sono, la spiegazione può essere solo che i futuristi italiani hanno malamente copiato. Del resto hanno fatto tanto baccano e sparate tante cartucce che, per caso, avranno pur sfiorato qualche bersaglio: discorso, quest’ultimo, che vale per il dadaismo e il surrealismo, i quali per essere posteriori è difficile provare che siano anteriori”.

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La critica di Calvesi è la critica che il Neofuturismo porta avanti da anni.

Della partigianeria di certi pseudo-intellettuali e pseudo-critici abbiamo già parlato a sufficienza.

Sorprendente la citazione di Galileo, preso a modello ripetutamente dai Neofuturisti.

Qualche parola in più voglio invece dedicare al problema delle influenze tra le varie avanguardie, cioè di quell’insieme di rapporti a livello teorico, tecnico e ideologico che lo storico dell’arte rintraccia in diversi movimenti artistici del primo Novecento. Ebbene, c’è un’evidenza a cui non si può sfuggire: il futurismo precede – a volte di diversi anni - le altre avanguardie. Di fronte a questa evidenza assistiamo al comico affannarsi di critici e criticanti, che appaiono preoccupatissimi di evitare che si diffondano voci che vogliono la sinistra arrivata in qualcosa dopo la destra. Sì, perché questi “ideologi” (ottimo ancora Calvesi) intendono la storia dell’arte come una branca della storia delle dottrine politiche. E sarebbero capaci di vedere destra e sinistra pure nella Merda di Piero Manzoni. Per fortuna su costoro si abbatte l’impietosa l’ironia di Calvesi (“discorso, quest’ultimo, che vale per il dadaismo e il surrealismo, i quali per essere posteriori è difficile provare che siano anteriori”).
Ed è con questa ironia che conviene liquidare la ciarlataneria di chi si dovrebbe occupare seriamente di arte e invece non fa che metterla costantemente al servizio (ignorante) di ideologie (deprimenti).

Antonio Saccoccio

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venerdì, luglio 13, 2007

La rivoluzione della comunicazione



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mercoledì, luglio 11, 2007

Neofuturismo e web 2.0

"La concezione dinamico-futurista del web 2.0 travolgerà e spazzerà via ogni forma di sapere vetero-mediatico"
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"Il NeoFuturismo/Netfuturismo ha intenzione di abbattere la dittatura del pensiero unico, debole, passatista, totalitario-mediocrista. Dispone di un grande e disinteressato alleato: il web 2.0"
Antonio Saccoccio

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venerdì, luglio 06, 2007

Beethoven e l'autonomia dell'artista

L’artista nuovo deve oggi opporsi con forza alle sconcezze del mercato dell’arte. Ma c’è un grande problema per l’artista contemporaneo: come procurarsi l’indipendenza economica, in modo tale da poter essere libero dai noti circoli di prostituzione artistica. Questo dell’indipendenza dell’artista è un problema che già uno dei più grandi artisti dell’età moderna aveva compreso perfettamente. Stiamo parlando di Ludwig van Beethoven. Compositore tra classicismo e romanticismo. Uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Leggiamo quello che pensava relativamente al problema dell’indipendenza economica dell’artista:

“Deve essere il fine e l’aspirazione di ogni vero artista di procurarsi una posizione in cui non infastidito da altri compiti o da preoccupazione economiche possa votarsi alle composizioni di grandi opere da offrire al pubblico…”

Questa dell’offerta al pubblico delle proprie opere è un’intuizione degna di un grande uomo. Non dimentichiamo che Beethoven aveva per il suo tempo una notevole cultura, frutto delle letture di filosofi, poeti e storici. E quindi non ci sorprende il forte senso etico che si coglie nell’affermazione che abbiamo appena letto.

Ora qualche spirito passatista avrà da ridire sostenendo che in passato l’arte era stata sempre legata a committenti di varia natura (Medici, Barberini etc.). Ebbene, questa visione ci preoccupa anche più dell’artista mercante. Questa visione è l’emblema di quel passatismo-staticità-palude che ha condotto l’arte nelle condizioni attuali. Noi stiamo pensando alle qualità che dovrà avere l’artista del futuro. Non a quelle che l’artista ha avuto fino all’altro ieri. Noi siamo creatori di pensiero, non archivisti-bibliotecari. Smettiamo di studiare il passato idealizzandolo. Si può, si deve progredire sempre. Ogni uomo vero, ogni neofuturista deve pensare che la vera arte deve ancora venire.

L’artista del futuro dovrà quindi liberarsi da condizionamenti economici.
Osserviamo bene coloro che vogliono arricchirsi con l’arte: sono nelle condizioni di quei vecchi ruderi che non aspettano altro che essere abbattuti.
Antonio Saccoccio

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domenica, luglio 01, 2007

Uguaglianza e (in)giustizia

"Ingiustizia non è solo trattar gli uguali in modo diseguale, ma anche trattare i diseguali in modo uguale"
Aristotele
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"Io non voglio essere confuso e scambiato con codesti predicatori di uguaglianza. Perchè a me la giustizia parla così: "Gli uomini non sono uguali".
Nietzsche

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