Riflettendo ancora sul triste primato dell'economia nella nostra società, ho trovato un'interessante recensione di Piero Operti su "Gli uomini e le rovine" di Julius Evola, pubblicata sul Secolo d'Italia più di 50 anni fa.
Prima di qualsiasi considerazione, vi riporto un estratto della recensione di Operti al testo di Evola (i grassetti sono miei).
------
Gianbattista Vico ricercò una “storia ideale eterna sulla quale corrono nel tempo le storie delle singole nazioni”, e tale ricerca doveva necessariamente volgersi alla terza dimensione della storia, al sottosuolo da cui si sviluppano i fatti di superficie. La "Scienza nuova" risiedeva appunto nella integrazione della storiografia con la filosofia, nella accezione della filosofia come momento metodologico della storia, e fecondissime furono le riflessioni del pensatore napoletano, riassunte in formule concettose che egli chiamava "degnità", sull’evoluzione dei pubblici ordinamenti dall’età omerica sino al medioevo e al periodo delle monarchie pure. Un medesimo proposito di visione sintetica e chiarificatrice ispira Julius Evola quando in "Rivolta contro il mondo moderno" (2 ediz. Bocca, Milano, 1951) e ultimamente in "Gli uomini e le rovine" (Edizioni dell’Ascia, Roma, 1953) formula la legge della regressione delle caste, secondo cui un processo involutivo si sarebbe attuato con il passaggio del potere politico da originarie caste di capi spirituali aventi carattere sacrale ad aristocrazie guerriere e successivamente ad oligarchie mercantili.
Lo scrittore chiama mondo tradizionale quello governato dalle “élites” del primo e del secondo tipo, a cui si oppone il mondo moderno caratterizzato dal tirannico primato dell’economia, e occorre notare che ai due termini egli non attribuisce soltanto un significato cronologico ma li considera anche come due distinte forme dello spirito umano, presenti e variamente operanti in ogni tempo.
Predominava nelle civiltà tradizionali l’elemento sovrannaturale, cioè lo spirito “concepito non come una astrazione filosofica bensì come una realtà superiore e come meta di una integrazione trascendente della personalità”, mentre nell’età moderna il razionalismo distruggendo il principio di autorità e negando ogni valore superindividuale consegnò la direzione della società al Terzo Stato e all’antica casta dei ‘mercanti’, moto regressivo che non può arrestarsi e che procede oggi verso il suo compimento che è la civiltà (o inciviltà) collettivistica del Quarto Stato.
[...]
D'altronde il reazionarismo di Evola ha un significato trascendente la sfera economica, poiché nelle contrapposte classi dei capitalisti e dei proletari egli vede due facce d’una stessa realtà che è la “demonia dell’economia”, l’assunzione d’una categoria strumentale a categoria finalistica, conseguente alla “invasione barbarica” dell’industrialismo.
L’illusorio miraggio delle conquiste tecnico-industriali, che egualmente abbacina i due antagonisti, vela ai loro occhi il deserto spirituale in cui il materialismo li ha condotti e dove essi officiano all’ultima divinità superstite: il progresso, tra i possibili fasti del quale vi è la distruzione scientifica dell’umanità.
Nec mala nostra nec remedia pati possumus: la parola di Cicerone è a buon diritto applicabile al nostro tempo, e nessuno nega la crisi, mentre il fatto stesso che della suddetta possibile distruzione si discorra e si scriva ovunque con fare tra compunto e snobistico, prova l’abisso di demenza in cui siamo precipitati. Lo sterminio atomico sospeso sul nostro capo si annunzia come l’epilogo d’un cammino che due secoli or sono prese le mosse dal “diritto alla felicità” consacrato nella Dichiarazione di Filadelfia.
Il termine di destra non può attribuirsi ad Evola se non in quanto egli difende i valori spirituali che la corsa a sinistra, allora iniziata, ha quasi interamente distrutti, difesa disperata poiché, come con verità lo scrittore osserva, gli stessi uomini disposti ad arginare la rovina sono più o meno intaccati dalle tossine del male che essi vogliono curare, delle quali la cultura moderna è impregnata. Nessuno come Evola ha operato su di sé una disinfezione altrettanto radicale e dispone di un coraggio mentale paragonabile al suo.
[...]
È ancora possibile un arresto del processo involutivo?
Lo scrittore si richiama talora a una élite a carattere spirituale, formata da uomini esprimenti un ideale di virilità immateriale, dotati di una fedeltà incondizionata, ascetica, incrollabile all’idea che li accomuna.
Piero Operti
------
Il progresso, i mercanti, l'industrialismo: questi i bersagli di Evola. E' necessario ormai ripensare seriamente all'opera di questo autore troppo frettolosamente dimenticato. In pochi hanno avuto così chiaro che la nostra è un'epoca di decadenza. Siamo ormai nel XXI secolo e questo decadentismo non smette di assumere sembianze sempre più preoccupanti e distruttive.
Il pensiero di Evola è senza dubbio troppo anti-moderno. Ma l'idea di progresso andrà riconsiderata e andrà quantomeno depurata dalle tendenze economicistiche, utilitaristiche e ultra-consumistiche.
Questo sarà un altro obiettivo del NeoFuturismo.
Antonio S.
Etichette: economia, Evola, materialismo