LIBERI DALLA FORMA

IL PRIMO BLOG NET-FUTURISTA

mercoledì, settembre 27, 2006

Idomeneo oscurato. E noi postiamo Dante!

La compagnia operistica Deutsche Oper Berlin ha deciso di togliere dal proprio cartellone la rappresentazione dell'opera Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart. Il rischio di offendere i musulmani sarebbe «incalcolabile». Tutto questo per una scena in cui si vedono decapitate le teste di Maometto, Gesù, Buddha e del dio greco Poseidone.
Davvero non c'è limite alla demenza. E poi mi chiedo: avessero decapitato solo Maometto, ma qui si parla anche di Gesù, Buddha e Poseidone! Insomma, perchè mai dovrebbero offendersi i musulmani?
Signori, italiani ed europei, riflettete: ci stiamo suicidando. E' un suicidio culturale, si intende. Ma non meno pericoloso. Non possiamo auto-censurarci continuamente. Troppa paura.
Io invito allora tutti i bloggers alla ribellione. Invito tutti a scrivere un post in segno di protesta contenente i seguenti versi dell'Inferno di Dante Alighieri, versi in cui Maometto è punito tra i seminatori di scandali e scismi.

"Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com'io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla.

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e 'l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia.

Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi, e con le man s'aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com'io mi dilacco!

vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto.

E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così."

Inferno, canto XXVIII, vv. 22-36
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E' ora di rialzare la testa. Non ci faremo mettere più i piedi in testa da nessuno.
Antonio S.

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domenica, settembre 24, 2006

Johannes Brahms, l'ultimo eroe


Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897) è senza ombra di dubbio uno dei più grandi compositori di tutti i tempi.
Ascoltando la sua musica si riceve l’impressione di una tensione continua.
La musica di Brahms è frutto di una lotta su due fronti.
Una lotta per esprimere i più profondi dissidi interiori dell’uomo. I suoi temi eroici, fieri, drammatici incalzano in maniera prepotente, virile, senza tregua. Solo a volte lasciano il posto a temi di un lirismo straordinario. Segno di un animo grandissimo.
Una lotta per portare al massimo sviluppo il sistema tonale. Dopo di lui non sarà possibile scrivere più nulla di simile adoperando il linguaggio tonale. In vari modi la tonalità si dissolverà, e la musica non riuscirà mai più ad esprimere la tensione drammatica di Brahms.
Il tedesco rappresentò l’apice dello sviluppo di un percorso secolare. Fu l’unico ad eguagliare, e a volte superare, l’intensità di Beethoven, di cui fu evidentemente il degno erede (il celebre direttore d’orchestra Hans von Bülow chiamò la sua Prima sinfonia “la Decima” di Beethoven).
Spirito romantico su basi classiche. Questa in sintesi la musica di Johannes Brahms, l’ultimo grande eroe della musica tonale.
Ascoltare le sue sinfonie, i suoi concerti per pianoforte, la sua musica da camera rappresenta un’esperienza straordinaria. Mistica, nella migliore accezione del termine. Perché è indubbio che quando l’arte raggiunge queste vette abbiamo la percezione di quel continuum umano-divino che è la rappresentazione più forte e vera della vita. Tra l’umano e divino c’è l’eroe, il semidio. E per la musica Brahms è stato un eroe. L'ultimo.
Onore a Johannes Brahms.

Antonio S.

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mercoledì, settembre 20, 2006

Evola: la demonia dell'economia

Riflettendo ancora sul triste primato dell'economia nella nostra società, ho trovato un'interessante recensione di Piero Operti su "Gli uomini e le rovine" di Julius Evola, pubblicata sul Secolo d'Italia più di 50 anni fa.

Prima di qualsiasi considerazione, vi riporto un estratto della recensione di Operti al testo di Evola (i grassetti sono miei).

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Gianbattista Vico ricercò una “storia ideale eterna sulla quale corrono nel tempo le storie delle singole nazioni”, e tale ricerca doveva necessariamente volgersi alla terza dimensione della storia, al sottosuolo da cui si sviluppano i fatti di superficie. La "Scienza nuova" risiedeva appunto nella integrazione della storiografia con la filosofia, nella accezione della filosofia come momento metodologico della storia, e fecondissime furono le riflessioni del pensatore napoletano, riassunte in formule concettose che egli chiamava "degnità", sull’evoluzione dei pubblici ordinamenti dall’età omerica sino al medioevo e al periodo delle monarchie pure. Un medesimo proposito di visione sintetica e chiarificatrice ispira Julius Evola quando in "Rivolta contro il mondo moderno" (2 ediz. Bocca, Milano, 1951) e ultimamente in "Gli uomini e le rovine" (Edizioni dell’Ascia, Roma, 1953) formula la legge della regressione delle caste, secondo cui un processo involutivo si sarebbe attuato con il passaggio del potere politico da originarie caste di capi spirituali aventi carattere sacrale ad aristocrazie guerriere e successivamente ad oligarchie mercantili.

Lo scrittore chiama mondo tradizionale quello governato dalle “élites” del primo e del secondo tipo, a cui si oppone il mondo moderno caratterizzato dal tirannico primato dell’economia, e occorre notare che ai due termini egli non attribuisce soltanto un significato cronologico ma li considera anche come due distinte forme dello spirito umano, presenti e variamente operanti in ogni tempo.

Predominava nelle civiltà tradizionali l’elemento sovrannaturale, cioè lo spirito “concepito non come una astrazione filosofica bensì come una realtà superiore e come meta di una integrazione trascendente della personalità”, mentre nell’età moderna il razionalismo distruggendo il principio di autorità e negando ogni valore superindividuale consegnò la direzione della società al Terzo Stato e all’antica casta dei ‘mercanti’, moto regressivo che non può arrestarsi e che procede oggi verso il suo compimento che è la civiltà (o inciviltà) collettivistica del Quarto Stato.

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D'altronde il reazionarismo di Evola ha un significato trascendente la sfera economica, poiché nelle contrapposte classi dei capitalisti e dei proletari egli vede due facce d’una stessa realtà che è la “demonia dell’economia, l’assunzione d’una categoria strumentale a categoria finalistica, conseguente alla “invasione barbarica” dell’industrialismo.

L’illusorio miraggio delle conquiste tecnico-industriali, che egualmente abbacina i due antagonisti, vela ai loro occhi il deserto spirituale in cui il materialismo li ha condotti e dove essi officiano all’ultima divinità superstite: il progresso, tra i possibili fasti del quale vi è la distruzione scientifica dell’umanità.

Nec mala nostra nec remedia pati possumus: la parola di Cicerone è a buon diritto applicabile al nostro tempo, e nessuno nega la crisi, mentre il fatto stesso che della suddetta possibile distruzione si discorra e si scriva ovunque con fare tra compunto e snobistico, prova l’abisso di demenza in cui siamo precipitati. Lo sterminio atomico sospeso sul nostro capo si annunzia come l’epilogo d’un cammino che due secoli or sono prese le mosse dal “diritto alla felicità” consacrato nella Dichiarazione di Filadelfia.

Il termine di destra non può attribuirsi ad Evola se non in quanto egli difende i valori spirituali che la corsa a sinistra, allora iniziata, ha quasi interamente distrutti, difesa disperata poiché, come con verità lo scrittore osserva, gli stessi uomini disposti ad arginare la rovina sono più o meno intaccati dalle tossine del male che essi vogliono curare, delle quali la cultura moderna è impregnata. Nessuno come Evola ha operato su di sé una disinfezione altrettanto radicale e dispone di un coraggio mentale paragonabile al suo.

[...]
È ancora possibile un arresto del processo involutivo?
Lo scrittore si richiama talora a una élite a carattere spirituale, formata da uomini esprimenti un ideale di virilità immateriale, dotati di una fedeltà incondizionata, ascetica, incrollabile all’idea che li accomuna.
Piero Operti
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Il progresso, i mercanti, l'industrialismo: questi i bersagli di Evola. E' necessario ormai ripensare seriamente all'opera di questo autore troppo frettolosamente dimenticato. In pochi hanno avuto così chiaro che la nostra è un'epoca di decadenza. Siamo ormai nel XXI secolo e questo decadentismo non smette di assumere sembianze sempre più preoccupanti e distruttive.
Il pensiero di Evola è senza dubbio troppo anti-moderno. Ma l'idea di progresso andrà riconsiderata e andrà quantomeno depurata dalle tendenze economicistiche, utilitaristiche e ultra-consumistiche.
Questo sarà un altro obiettivo del NeoFuturismo.
Antonio S.

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venerdì, settembre 15, 2006

L'Oltremodernismo

Potrebbe essere questa la parola-chiave. Oltre-modernismo.
L'oltre-modernismo è il superamento dei paradigmi su cui si fonda la modernità, cercando di evitare allo stesso modo lo sfascio post-modernista.
Sia chiaro: non propongo un ultra-modernismo, ma un oltre-modernismo. Quindi voglio un radicale ripensamento della modernità e non una sua esasperazione. Andare oltre significa migliorarsi. Voglio che l'umanità si riappropri di un'esistenza depurata dagli eccessi della modernità. Quindi, stop alla vita stressante e mai appagante di tutti i giorni. Si deve smettere di correre in continuazione dietro a bisogni non necessari e che a nulla servono per migliorare realmente la nostra esistenza.
Andiamo oltre questa modernità che ci ha spinto a correre come forsennati dalla mattina alla sera. Modernità = progresso? Non sempre. Pensate che oggi l'uomo è impegnato spesso per tutto il giorno, ha pochissimo tempo libero, riposa poco, eppure spesso è al limite del tracollo finanziario personale. Condannato ad una perenne insoddisfazione. Questo sistema malato ci fa correre come macchine perfettamente programmate senza darci neppure la possibilità di fermarci e dire "ma dove sto andando?" "è questo quello che voglio?" "l'ho voluto io?". Non sono concesse queste domande. Perchè siamo macchine e le macchine eseguono, non discutono. Chi si pone questi interrogativi e riflette sull'impossibilità di continuare in una simile direzione è semplicemente fuori dal sistema. Quindi sistematicamente ignorato. Conta solo "lo sviluppo". Il mito modernista ha questo nome. E quale sviluppo? Lo sviluppo economico, questo è l'unico che conta. Ma ormai è chiaro: più "si sviluppa" l'economia, più ci sottosviluppiamo come uomini. Più c'è sviluppo, più manca la natura, lo spirito, l'umanità, l'arte.
Io chiamo a raccolta nuovamente tutti coloro che hanno compreso o stanno comprendendo che di questo passo siamo condannati ad una lenta autodistruzione. E la cosa più triste è che ci autodistruggeremo pensando di essere in pieno sviluppo. Triste sorte la nostra. Spietata. Suicidarsi senza accorgersene. Ma questo accade sempre quando si smette di riflettere profondamente sull'esistenza.
L'unica soluzione per uscire fuori da questa situazione è un superamento della modernità. Un pensiero oltre-modernista basato su un NeoFuturismo e un NeoUmanesimo. Il Futurismo del XXI secolo, al contrario del futurismo del secolo precedente, è fortemente critico nei confronti della modernità, ma crede fortemente che con un atteggiamento audace e nuovo si possa rivoluzionare le nostre coscienze, svuotate e private di ogni stimolo. I suoi propositi sono NeoUmanisti, perchè l'uomo possa tornare ad essere protagonista reale e consapevole della propria esistenza.
Per tornare a ritmi umani. Contro l'uomo-macchina.
OltreModernismo NeoFuturista e NeoUmanista.
Antonio S.

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sabato, settembre 09, 2006

L'ha detto... Domenico Giuliotti

"Governo e giornale sono schiavi l'uno dell'altro, e la moltitudine di tutti e due"
Domenico Giuliotti

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domenica, settembre 03, 2006

Materialismo, marxismo, relativismo e crisi dell'Occidente

Ho più volte affermato che alla base del crollo dei valori nell'Occidente c'è il materialismo, che ha corroso lentamente la naturale predisposizione umana alla spiritualità. Riporto un interessante passo di papa Ratzinger, in cui appare evidente come la concezione materialistica di stampo marxista abbia lasciato delle ferite profonde nella civiltà occidentale.
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"Ai due modelli di cui parlavo prima se ne è aggiunto nel XIX secolo un terzo, ossia il socialismo, che si biforcò presto in due diverse vie, quella totalitaria e quella democratica. Il socialismo democratico è riuscito a inserirsi all’interno dei due modelli esistenti come un salutare contrappeso nei confronti delle posizioni liberali radicali, le ha arricchite e corrette. Esso riuscì anche ad andare al di là delle confessioni: in Inghilterra era il partito dei cattolici, che non potevano sentirsi a casa loro né nel campo protestante-conservatore, né in quello liberale. Anche nella Germania guglielmina il nucleo cattolico poteva sentirsi più vicino al socialismo democratico che alle forze conservatrici rigidamente prussiane e protestanti. In molte cose il socialismo democratico era ed è vicino alla dottrina sociale cattolica, in ogni caso ha considerevolmente contribuito alla formazione di una coscienza sociale.
Il modello totalitario, invece, era legato a una filosofia della storia rigidamente materialistica e ateistica: la storia è deterministicamente intesa come un processo di progresso che passa attraverso la fase religiosa e quella liberale per giungere alla società assoluta e definitiva, in cui la religione come relitto del passato viene superata e il funzionamento delle condizioni materiali può garantire la felicità di tutti.
L’apparente scientificità nasconde un dogmatismo intollerante: lo spirito è prodotto della materia: la morale è prodotto delle circostanze e deve venire definita e praticata a seconda degli scopi della società; tutto ciò che serve a favorire l’avvento dello stato finale felice è morale. Qui il sovvertimento dei valori che avevano costruito l’Europa è completo. Di più, qui si apre una frattura con tutta la tradizione morale dell’umanità: non ci sono più valori indipendenti dagli scopi del progresso; all’occorrenza tutto diventa lecito e persino necessario, tutto diventa morale nel senso nuovo del termine. Anche l’uomo può diventare uno strumento; non conta il singolo, conta solo il futuro che diventa la terribile divinità che delibera sopra tutti e sopra tutto.
I sistemi comunisti sono naufragati per il loro fallace dogmatismo economico. Ma si trascura troppo volentieri la parte avuta dal disprezzo dei diritti umani, dalla subordinazione della morale alle esigenze del sistema e alle promesse di futuro. La più grande catastrofe che hanno incontrato non è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale. Il problema essenziale della nostra ora per l’Europa e per il mondo è che, se da un lato si riconosce la fallacia dell’economia comunista, tanto che gli ex comunisti sono diventati senza esitazione liberali in economia, dall’altro la questione morale e religiosa, di cui propriamente si trattava, viene quasi completamente rimossa. Così il nodo irrisolto del marxismo continua a esistere anche oggi: il dissolversi delle originarie certezze dell’uomo su Dio, su se stessi e sull’universo. Il declino di una coscienza morale basata su valori inviolabili è ancora il nostro problema e può condurre all'autodistruzione della coscienza europea, che dobbiamo cominciare a considerare come un reale pericolo".
Marcello Pera-Joseph Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano, 2004
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Lucidissimo il passo di papa Benedetto XVI.
Ritengo che l'attuale trionfo del relativismo sia in realtà una forma mascherata di marxismo. E' sempre presente l'annullamento dello spirito, del divino, di tutto quello che c'è oltre la materia. Se non si crede in qualcosa di davvero grande da cui tutto ha origine e a cui tutto torna, allora si finisce col sospendere il giudizio. E l'uomo muore. Perde il suo slancio vitale. In una società comunista l'uomo in realtà muore prima ancora del decesso materiale. E in una società assolutamente relativistica l'uomo muore nello stesso identico modo.
Antonio S.

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